Pesaro 44 - Atome - Cinema Tedesco contemporaneo

Scenari da post apocalisse. Stanzoni immensi e vuoti. Città deserte. Palazzi che cadono in rovina. Sotterranei di metropolitane polverosi e bui, ma nessun treno in servizio. E poche figure che si aggirano nello spazio come elettroni seguendo traiettorie instabili, incerte, private di ogni significato.
Non ci sono perchè in Atome, le cose vengono mostrate nella loro nuda evidenza, i percorsi registrati con l’occhio vigile di un assistente di laboratorio che guarda e prende appunti senza preoccuparsi più di tanto di scorgere disegni nei percorsi di questi atomi sparsi di negata umanità.
L’unica cosa certa è la ricerca di un barlume di felicità nello sfacelo, l’idea di un presente meno cupo laddove anche il futuro sembra un’astrazione che ha perso ogni significato. Una ricerca che è figlia dell’abitudine perchè quella felicità che vorresti non sai neanche bene tu com’è fatta, non l’hai mai provata e nessuno ti ha detto veramente com’è.
Il cielo di Atome si è pirandellianamento squarciato lasciando intravedere il vuoto sotto l’apparenza delle nuvole e del sole. E il mondo tutto finisce per seguire le mute orbite di un viaggio che non ha perso ogni senso. E’ finito il paradiso dell’epica quando ogni cosa aveva un nome ed ogni azione un fine. Ma è finita anche l’epoca del dubbio del romanzo quando ci si chiedeva perchè, ma si continuava a vivere tuttavia. Nel mondo beckettiano di Atome dove ogni paesaggio è riconoscibile, ma distante, dove ogni palazzo te lo senti come tuo, ma lo vedi anche remoto ed inabitabile, la vita stessa s’è fatta abitudine e routine. La vivi perchè sai che dopo c’è solo il vuoto, ma quel vuoto non è più terribile di quello nel quale già vivi ora.
Inferno sceso in terra. O meglio purgatorio con anime che si aggirano nell’espiazione di chissà quali colpe senza la consolazione è la speranza del premio della visione di Dio a venire.
Il vero dramma dei personaggi del film è che non hanno più futuro perchè hanno perso ogni traccia di passato. Non è possibile chiedersi dove si va se si è dimenticato da dove si viene. E per noi spettatori vedere questo mondo parallelo che si disfa inesorabilmente sotto i nostri occhi mimando lo sfacelo del nostro, ha il sapore di un’esperienza disturbante e mai catartica.
Saggio di fine corso nella scuola di Cinema di Dortmund, Atome tenta i colori delle tinte grigie, senza sfumature.
E’ un’opera fredda e diseguale, distanziante, ma al fondo manierata. Notevole nel restituire la sua apocalisse quieta, che si spegne non nell’epicedio, ma in una lenta dissolvenza incompiuta, eppure a tratti sin troppo scolastica, in certi momenti quasi compiaciuta del suo freddo rigore.
La scelta di campo è portata avanti sino alle sue estreme conseguenze. Scomparsa ogni traccia di psicologia, defilatisi anche gli ultimi barlumi dell’immedesimazione, il film persegue una sua logica entomologica. Distanzia lo spettatore allontanando la camera dall’oggetto filmato. Ti nega ogni primo piano, ti tiene fuori ogni dettaglio. Tutto è in campo lungo, spesso lunghissimo a renderti il senso di un universo ostile nel quale si aggirano uomini che son meno di particelle elementari. I loro bisogni sono cibo, sesso e qualche tenerezza. Magari uno stralcio di dialogo a riempire il silenzio, ma sono parole che ti fanno male, ti fanno uscire il sangue dal naso.
Allo stesso modo sono trattate le musiche: ponti sonori per un’empatia possibile, per un’emozione magari anche solo disturbante. La regia limita al masismo la suggestione della colonna sonora extradiegetica, del commento musicale. Ma nega la musica anche agli stessi personaggi. Non ci sono radio, nè televisioni, nè cinema. Solo ti resta una carcassa di pianoforte sulla quale far scorrere una pallina di ping pong a mimare scale che sarebbero piaciute a Cage.
Il film è denso di riferimenti, sa di cultura cinefila e di passione per le immagini, ma evita la trappola dell’autoreferenzialità di chi si filma l’ombelico. Il che è un no piccolo pregio.
(Atome); Regia e montaggio: Till Steinmetz; fotografia: Thilo Schmidt; musica: V. Hennes, D. Regina, R. Vater; interpreti: Lisa-Marie Janke, Oleg Zhukov, Maxim Mehmet, Victor Schefè; produzione: Kunstochschule fur Medien Koln Fachtochschle Dortmund; origine: Germania, 2007; durata: 60’
