X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Piazza grande - Wrong

Pubblicato il 10 agosto 2012 da Fabiana Proietti

VOTO:

Piazza grande - Wrong

Continua l’hommage à aucune raison di Quentin Dupieux, alias Mr. Oizo, guru dell’elettronica francese e filmmaker appassionato, autore di quattro lungometraggi che ruotano ossessivamente attorno a un non sense diventato vero centro nevralgico della sua poetica.
Non fa eccezione questo Wrong, presentato all’ultimo Sundance Film Festival, che prosegue un discorso avviato nel 2001 con il mediometraggio Nonfilm e proseguito con Steak e Rubber, finora la formulazione piu’ compiuta del Dupieux-pensiero, spesso ribadito attraverso l’espediente del metacinema.

Dopo il manifesto programmatico del monologo di Rubber, in cui il poliziotto che si troverà a dare la caccia a un pneumatico serial killer (ebbene si’...) snocciola una serie di esempi per ribadire come il cinema sia un continuo omaggio all’insensatezza, Wrong inizia con l’immagine di una sveglia che dalle 07.59 scatta non sulle 08.00 ma sulle 07.60. E’ l’avvisaglia della sequenza di situazioni assurde in cui viene precipitato il protagonista Dolph, che comprendono la sparizione dell’amato cane Paul - motore dell’azione narrativa - la trasformazione della palma in giardino in un pino e l’entrata (a gamba tesa) nella sua vita della receptionist di una pizzeria con consegna a domicilio. Su tutto l’incontro misterioso con Master Chan, figura lynchiana - non a caso Dupieux lo introduce con delle note che ricordano alcuni "stacchetti" di Twin Peaks - che sembra l’unico a tenere in qualche modo le fila della storia.

Intendiamoci, non è che ci si stia male nel mondo di Mr. Oizo ma la stanza sta iniziando a sembrare più piccola, i soffitti più bassi. Dopo quattro film il suo cinema sembra essersi esaurito nella celebrazione dell’assenza di significato, assumendo la forma di una spirale tanto ripiegata in questo discorso da perdere ogni contatto con il mondo, con le emozioni, con un amore per le immagini che è in fondo condizione necessaria per fare questo mestiere.

Dupieux sembra applicare al cinema il procedimento musicale per cui ripetendo ossessivamente un motivo lo svuota di senso, ma senza tener conto della diversità del medium. E allora i suoi panorami sempre uguali - deserti o indistinguibili sobborghi metropolitani - con quella fotografia pastello che uniforma ogni tono, i suoi personaggi e le sue situazioni kafkiane (nell’ufficio dove Dolph si reca ogni giorno pur essendo stato licenziato piove incessantemente...) iniziano a diventare segnali di un giochino intellettuale ormai scoperto e saturo.

Un peccato, perché come sceneggiatore, operatore, montatore e regista dei suoi film, Dupieux dimostra di amare il cinema tanto nell’aspetto teorico quanto in quello piu’ materiale e di volercisi anche "sporcare" le mani. Ma finisce col dare l’impressione di essere come quei figli unici straordinariamente intelligenti incapaci di scendere in strada e giocare con gli altri bambini.


CAST & CREDITS

Regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio: Quentin Dupieux; musica: The Hit Boy, Mr. Oizo; interpreti: Jack Plotnick, Eric Judor, Alexis Dziena, Steve Little; produzione: Realitism Films, Arte France Cinéma; origine: Francia, 2012; durata: 94’


Enregistrer au format PDF