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Presentazione Berlinale 2019

Pubblicato il 5 febbraio 2019 da Matteo Galli


Presentazione Berlinale 2019

Apre dopodomani la 69esima edizione della Berlinale, l’ultima diretta da Dieter Kosslick, che dopo 19 anni cederà il passo a Carlo Chatrian. La giuria, composta da sei membri, è presieduta da Juliette Binoche, fra gli altri spiccano Sebastián Lelio, il regista cileno di Gloria e Una donna fantastica e l’attrice tedesca Sandra Hüller, ossia la protagonista di Vi presento Toni Erdmann. A una prima occhiata non sembra annunciarsi niente di particolarmente sorprendente, Kosslick resta fedele a sé stesso e ai molti autori che ha provveduto a lanciare nel corso del suo lungo mandato. Poi magari, invece, le sorprese arriveranno – ce lo auguriamo, ovviamente. Ancora una volta spiccano i due colossi produttivi e coproduttivi europei: la Germania e la Francia; su 17 film in concorso ben 6 vantano capitale tedesco (seguiti a ruota dalla Francia che ne vanta 5). Se poi consideriamo anche i 6 film fuori concorso, entrambe le nazioni sono presenti con 8 contributi. Molto distanziati gli altri paesi: ci sono tre registi cinesi (ma uno dei tre film in questione batte la bandiera della Mongolia), e un paio di paesi con due presenze produttive o co-produttive (Israele, Canada, Svezia, Danimarca). Gli USA quest’anno in concorso non ci sono proprio: sono presenti solo fuori concorso con un documentario dedicato a una tournée di Aretha Franklin e, incredibile a dirsi, con Vice che in Germania non è ancora uscito. Gli USA co-producono inoltre un film israeliano, sempre fuori concorso

In un anno in cui anche la retrospettiva è dedicata alle registe – si intitola Selbstbestimmt. Perspektive von Filmemacherinnen (Autogestione. La prospettiva delle registe) e comprende appunto 28 film di registe tedesche fra est e ovest, fra il 1968 e il 1999 -, in un anno in cui l’omaggio è dedicato a Charlotte Rampling - di cui vengono proiettati 11 film da La caduta degli dei a Il portiere di notte da Stardust Memories a 45 Years – salta agli occhi che anche in Concorso ben 7 dei 17 film sono girati da registe, forse non è mai successo. Quanto alla distribuzione anagrafica, anche qui sono due donne a posizionarsi agli estremi: Agnieszka Holland, settantenne, è la regista più vecchia, l’esordiente tedesca Nora Fingscheidt è la più giovane, essendo nata nel 1983.

I film tedeschi? Come sempre accade a Berlino, dei 6 film con capitale tedesco la metà non è girata da registi che dalla Germania provengono, in tre casi, come vedremo, si tratta di coproduzioni. I tre film tedeschi, andando in ordine di celebrità del regista, sono Der goldene Handschuh (Il guanto d’oro, coprodotto anche dalla Francia) di Fatih Akin che gira nella natia Amburgo (come spesso gli accade, da ultimo: Oltre la notte) un film incentrato su un serial killer tratto dall’omonimo romanzo molto popolare in Germania dello scrittore e giornalista Heinz Strunk. Akin è il primo dei tanti registi presenti in concorso ad aver già vinto qualcosa a Berlino, nel suo caso l’Orso d’Oro nel 2004 con La sposa turca. La seconda regista, in ordine di importanza, è Angela Schanelec (1962), esponente non particolarmente prolifica e per certi versi estrema della cosiddetta “Berliner Schule”, semi-sconosciuta in Italia (è arrivato, ma solo in DVD, qualche anno fa I ponti di Sarajevo). Il film di Schanelec (coprodotto con la Serbia) s’intitola Ich war zuhause aber (Sono stato a casa, però) e racconta i difficili rapporti fra una madre che lavora nel mondo berlinese dell’arte e un ragazzino ribelle. Il terzo film, un film d’esordio, quello di Nora Fingenscheidt, si intitola Systemsprenger, alla lettera “persona/persone che fa/nno saltare il sistema”, e anche questo racconta la storia di una ragazzina incapace di adattarsi ai contesti sociali nei quali si trova. Come detto, la Germania co-produce anche altri tre film in concorso: in primo luogo il film di apertura, intitolato The Kindness of Strangers, super-coproduzione che vede coinvolti cinque paesi, fra cui appunto Francia e Germania. La regista è Lone Scherfig (1959) di cui si ricordano in Italia le due produzioni internazionali An Education, One Day e il film in lingua danese Italiano per principianti, il contributo principale della regista ai principi di Dogma 95, con cui vinse l’Orso D’Argento nel 2001. In secondo luogo troviamo capitale tedesco (ma anche greco e olandese) nel film del regista turco Ermin Alper intitolato A Tale of Three Sisters, una fiaba ambientata in Anatolia. Alper, con il suo film precedente, aveva preso il Gran Premio della Giuria a Venezia nel 2015. Infine la Germania ha co-prodotto anche il film del non particolarmente celebre regista israeliano Nadav Lapid, intitolato Synonymes su un giovane originario di Israele emigrato a Parigi che potrebbe risultare una delle cose più interessanti del concorso.

Quanto alla Francia, oltre a co-produrre il film di Akin e quelli di Scherfig e di Lapid, ne ha coprodotto un quarto, un film di origine macedone intitolato God exists, Her Name is Petrunya (coprodotto insieme a Croazia, Slovenia, Belgio e ovviamente Macedonia), l’autrice si chiama Teona Strugar Mitewsk e sembra a giudicare dalla sinossi un film promettente. L’unico contributo “autenticamente” francese presente in concorso è l’ultimo diretto da François Ozon, intitolato Grâce à Dieu sul rapporto fra un giovane e il prete che in passato l’ha molestato. Ozon è per la quinta volta in concorso, avendo ottenuto un Orso d’Argento all’intero cast femminile di 8 donne e un mistero.

Dei nove film restanti, cinque sono europei, tre asiatici e uno canadese. Nessun film dal Centro o dal Sud America, nessun film dall’Africa. Fra gli europei spiccano tre presenze frequenti a Berlino: Isabelle Coixet che nel 2015 aprì la Berlinale con il non memorabile Nobody wants the Night (e l’anno scorso era presente in “Berlinale Special” con l’ancor meno memorabile La casa dei libri), interpretato da Juliette Binoche, oggi appunto a capo della Giuria. Con Elisa y Marcela Coixet gira questa volta una storia di amore proibito nella Spagna di fine Ottocento. La seconda habituée si è già menzionata, è Agnieszka Holland, premiata due anni fa per Spoor con un Orso d’Argento. Anche il film della Holland è un film storico, s’intitola Mr. Jones ed è ambientato nell’Ucraina degli anni ’30 in preda a un terribile carestia. Il terzo regista spesso presente a Berlino è il norvegese Hans-Petter Molland che raramente delude, si ricordano ancora con piacere A Somewhat Gentle Man del 2010 e l’esilarante In Order of Disappereance (2012) entrambi interpretati dal suo attore-icona Stellan Skarsgård. Anche Molland gira un film in costume, ambientato a fine ‘800, sempre con Skarsgård, da cui ci aspettiamo molto. Gli altri due europei sono Der Boden unter den Füßen (La terra sotto i piedi della regista quarantenne Marie Kreutzer, fin qui non particolarmente celebre e, last but not least, La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, tratto dall’omonimo testo di Roberto Saviano, un film che appare in linea – film socialmente assai impegnati - con tutta una serie di contributi italiani presenti in concorso negli ultimi anni: da Cesare non deve morire a Fuocoammare, fino ai due film di Laura Bispuri. Ma sul cinema italiano diremo di più fra un attimo.

Resta da ricordare il film di Dennis Côté, regista canadese, spesso presente e talvolta premiato che ha un bel titolo Répertoire des villes disparues, un film, a quanto pare, non privo di tratti fantastici. E poi – appunto – i tre film cinesi. Anche qui ben poco di nuovo: uno (One Second) lo ha girato Zhang Jimou (vincitore dell’Orso d’Oro trentuno anni fa con Sorgo rosso e presente a Berlino molte altre volte), l’altro (Öndög è quello targato Mongolia) è opera di Wang Qu’an, anche lui con un Orso D’Oro alle spalle (Il matrimonio di Tuya nel 2007) e anche altre presenze e altri premi. E anche Wang Xiaoshuai, il terzo regista cinese a Berlino è già venuto due volte (nel 2001 e nel 2008) e due volte ha preso premi, seppur minori. Stavolta presenta un film intitolato So Long, My Son, un dramma familiare che abbraccia tre decenni, dalla Rivoluzione Culturale in avanti.

In aggiunta ai film già menzionati (i due americani) quest’anno fuori concorso la Berlinale ne presenta altri quattro: un thriller politico di produzione francese-tedesca-americana e israeliana, ambientato appunto in Israele con Diane Kruger protagonista (The Operative); un biopic su Carlos Marighella, intitolato appunto Marighella, esordio registico di Wagner Moura, interprete di Pablo Escobar nella serie Narcos oltreché protagonista di Tropa de Elite, altro film vincitore di Orso d’Oro; un film di Andre Techiné (altro habitué berlinese) intitolato L’adieu à la nuit con Catherine Deneuve (anche lei nella capitale tedesca non manca quasi mai) e per finire un documentario autobiografico di Agnès Varda, intitolato appunto Varda par Agnès.

Oltre a presentare un omaggio nel quarantennale dalla nascita (con 13 contributi fra il 1985 e il 2018), la sezione “Panorama” comprende 45 film, equamente suddivisi, come al solito, fra film di finzione e film documentari. A nostra memoria non era mai successo che all’interno di questa scelta ci fossero ben quattro film provenienti dall’Italia tutti in qualche misura molto promettenti. Si tratta di due film di finzione: Dafne di Federico Bondi (su una donna affetta da sindrome down), Flesh Out di Michela Occhipinti (girato in Mauritania e incentrato su un matrimonio combinato) e due documentari Normal di Adele Tulli (sull’educazione di ragazzi e ragazze, sulle convenzioni di genere) e Selfie di Agostino Ferrente, con due ragazzi protagonisti a 360° gradi, nel contenuto e anche nella forma, ambientato a Napoli nel Rione Traiano. A questi quattro film devono aggiungersene almeno altri due, in qualche misura legati all’Italia, un documentario della regista italo-gallese Kim Longinotto, dedicato alla fotografa palermitana Letizia Battaglia, intitolato Shooting the Mafia e uno su una “sex worker” italiana di stanza a Berlino girato dalla documentarista tedesca Pia Hellenthal (Searching for Eva). Avendo avuto la possibilità di assistere fin da metà gennaio a molte proiezioni in anteprima dedicheremo a “Panorama” più spazio del solito, anche perché dentro quella sezione si nascondono film di qualità media piuttosto alta.

In “Berlinale Special” verranno presentati in tutto dodici film, due di questi documentari o semi-documentari lunghissimi: dagli USA Watergate – Or: How We Learned to Stop An Out Of Control President (regista Charles Ferguson, 262 minuti) e il biopic dedicato a Brecht e così intitolato (182 minuti) con la regia di Heinrich Breloer che utilizzando la formula docu-drama aveva già dato vita quasi vent’anni fa a un celeberrimo biopic su Thomas Mann e famiglia (I Mann, 2001, in Italia è girato su Sky). Poi due documentari molto tedeschi: uno su Mario Adorf e uno sul celebre gruppo rock “Die Toten Hosen”. C’è anche un film francese con protagonista la presidentessa Binoche, s’intitola Celle que vous croyez ed è girato da Safy Nebbou.

“Forum”, l’altra sezione storica di Berlino, è in una fase interlocutoria, non sono ancora stati definiti i nuovi direttori e non sono più in carica i vecchi. E’ affidata dunque a una gestione interinale. Se questo andrà a detrimento della qualità, lo capiremo se avremo il tempo di andare a curiosare.


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