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Progetto Video

Pubblicato il 18 luglio 2004 da Edoardo Zaccagnini


Progetto Video

Forse la parola video è il termine migliore per definire la pioggia di immagini elettroniche che la rivoluzione della leggerezza fa cadere un po’ dovunque. Per questo la quarantesima edizione della mostra del cinema nuovo, si affanna nel tentativo di individuarne confini, stabilirne limiti, o, comunque, capirne di più. Ed è bene che lo faccia, nella sua tradizionale sorveglianza al nuovo. C’ è una sala, apposta, un concorso e i suoi protagonisti. Presenti, decisi, contro e in confusione, sulla natura del territorio, sulle direzioni dell’espansione. Alla ricerca chi di un’etica di fondo, chi di un orizzonte artistico nuovo, libero e svincolato, sull’agilità e l’economia di una potenzialità straripante e a rischio caos. Quali le certezze o i passi avanti in dieci giorni di proposte, tutte rigorosamente digitali? La prima. Che la telecamerina così piccola, curiosa e rivoluzionaria, è uno strumento manovrato da un pensiero che è pre-digitale, pre-analogico, e pre-tutto. Sembrerà banale, ma a guardare le diciassette proposte giunte a Pesaro da una selezione che ne contava centossessanta, l’autore si riscatta e libera, immediatamente dalla prigione tecnologica di cui si avvale. Si staglia, e differenzia dal collega. Per le idee, la predisposizione, la sensibilità. Del resto due sole immagini o due note, accostate, sono un’opera. E l’opera è tempo e spazio, categorie dell’anima. E scelta. Ligabue scoperse tardissimo le tele. Fino ad allora bruciava rami e coi carboncini, costruiva i suoi animali sopra i muri. Si dirà che è la tecnologia che cambia l’uomo. Ed è vero che ne rivoluziona le dinamiche e i rapporti, ma non ne intacca i sentimenti. Mai. Stabilita per ciò la podestà di un buon cervello o d’un buon cuore, che non in tutti i passi del progetto s’ è mostrato di salute, la seconda riflessione è sulla specificità del video. Tutto ciò che una mini dv può raccontare? E allora cosa filmare? Come? Che rapporto c’ è tra il video e il documentario? Il video è videoarte? e la musica che ruolo gioca? Domande, tante, ricevute dai videomakers. Risposte incerte e posizioni nette. Spunti girati al volo ad un collega per sentirne il parere, diverso, deciso, lontano dal precedente magari. A Pesaro s’è dibattuto del concetto e nessuna parola è stata usata più di sperimentazione. Nuove forme d’ espressione, linguaggi innovativi dell’ immagine, e la mollezza d’un terreno ibrido, contaminato, nuovo e affascinante soprattutto per i giovani. Per ciò il vincolo unico è stato quello della ripresa in digitale, abolendo ogni distinzione di genere. Così il documentario inchiesta, classico e di moda, accanto alla performance, estrema, o al videopoema. La realtà, nei limiti della sua riproducibilita, insieme alla cosidetta manipolazione dell’immagine. Addirittura la completa costruzione del visibile. Sempre con una lingua bassa, disordinata, volgare come una che sta nascendo. Forse per dare un senso o nobilitare, e non ci vuole molto, l’onda infinita e infima che arriva in ogni casa e in ogni uffico, oggi tutte le volte che si preme lo start del monitor. Per scoprire il tesoro nascosto dell’ immondizia e riciclarla dandogli vita e funzione. L’arte poi, è dell’ artista. Che la fa con ciò che ha. Dal massimo al minimo, che è la sua parola, o il corpo, o il pensiero stesso.

[luglio 2004]


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