X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Queen of the desert - Concorso

Pubblicato il 6 febbraio 2015 da Matteo Galli

VOTO:

Queen of the desert - Concorso

Nessuno conosceva Josephine Peary, la protagonista del film di apertura di Isabelle Coixet.
Tutti, o certamente molti, conosceranno Gertrude Bell, la protagonista del film di Werner Herzog presentato oggi alla Berlinale.
E dire che i due film hanno molti aspetti in comune: due donne estremamente volitive (nella conferenza stampa di apertura il direttore ha parlato delle “starke Frauen”, delle donne forti come tema dominante di questa Berlinale), l’ambientazione storica (siamo in entrambi in casi nel primo decennio del novecento), la natura estrema (i ghiacci nel film di Coixet, il deserto nel film di Herzog). I parallelismi, però, si fermano qui.
Il film di Herzog prende corpo sostanzialmente in quattro setting di base: la tenuta di famiglia nella campagna inglese, le molte e diverse rappresentanze diplomatiche nelle molte e diverse città del Medio Oriente dove Gertrude Bell risiede e con cui, non senza frizioni, interagisce, piccoli scorci urbani (soprattutto bazar, decisamente posticci, che tradiscono fin troppo il fatto di esser stati ricostruiti in studio) e, statisticamente al primo posto, per l’appunto il deserto, con alcune immagini usate a mo’ di leitmotiv, con la sabbia, i cammelli e i dromedari, gli accampamenti, gli insediamenti beduini e le città di pietra, dove, inutile dirlo, Herzog dà il meglio di sé perché si muove in contesti che conosce a menadito.
Ma il film non poteva e non voleva limitarsi a raccontare il percorso esistenziale, culturale, politico di Gertrude Bell, donna emancipata, una delle prime laureate a pieni voti di Oxford, storica, antropologa, archeologa, trasformatasi nel corso del tempo in una sorta di archivio vivente di un patrimonio etnico e culturale della cultura araba e beduina, tanto che le alte sfere della politica britannica, negli anni della prima guerra mondiale, Churchill in testa, finiscono per affidarle importanti compiti diplomatici che arrivano fino a farle tracciare i confini fra i vari paesi - nati dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano – sulla base di complessi ragionamenti dinastici che solo lei era davvero in grado di seguire e articolare.
Il film, si diceva, non traccia solo questo biopic pubblico di Gertrude Bell, ma ne segue anche le avventure del cuore, gli amori infelici, la lotta contro la durezza del sistema educativo paterno. Soprattutto la prima parte della pellicola si concentra sulla sfortunata storia d’amore fra Gertrude e Henry Cadogan, impiegato di terzo livello presso l’ambasciata inglese a Teheran. È questa obbiettivamente la parte più debole del film anche in conseguenza di un casting francamente infelice: aver affidato a James Franco la parte del diplomatico inglese, seppur di terzo livello, rende tutte le scene di tenerezza e di seduzione fra i due protagonisti del tutto improbabili. Osservare la totale incapacità di James Franco, troppo davvero troppo yankee, di controllare i movimenti delle mani risulta proprio imbarazzante. Nella seconda parte il film decolla un po’ di più, là dove Gertrude, appunto, si cala maggiormente nel suo ruolo di figura chiave del processo di interazione diplomatica fra il British Empire e le popolazioni soprattutto nomadi che abitano la zona. Nicole Kidman riesce a interpretare il ruolo con grande plausibilità, tenendo un sapiente equilibrio fra la prima parte, molto Portrait of a Lady qua e là con qualche eco kubrickiana, e la seconda parte dove, senza mai dismetter i panni upper class, sviluppa tutta una sensibilità interculturale e una diversa presenza scenica molto convincente. Assai più macchiettistico ci è parso Robert Pattinson nei panni di T.E. Lawrence, Lawrence d’Arabia per intendersi. Fatte salve le riprese del deserto, accompagnati da melismi etnici sparati a volume un po’ troppo alto, la regia di Werner Herzog – tornato alla fiction dopo cinque anni , dopo Bad Lieutenant e My Son, My Son What Have Ye Done - è parsa corretta ma nulla più. Insomma, un drammone un po’ old fashion, con un’ottima interprete e uno sheltering sky fra le dune.


CAST & CREDITS

(Queen of the desert); Regia, sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Peter Zeltlinger; montaggio: Joe Bini; musica: Klaus Badelt; interpreti: Nicole Kidman (Gertrude Bell), James Franco (Henry Cadogan), Robert Pattinson (Colonnello Lawrence); produzione: Palmira Films/Benaroya Films USA, 2015; durata: 125’.


Enregistrer au format PDF