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Quentin e l’Italia

Pubblicato il 8 maggio 2004 da Armando Chianese


Quentin e l'Italia

The Bride’s hand breaks the surface... Then like one of Fulci’s Zombies, Claws, Digs, and Pulls herself from mother Earth’s womb. Dalla sceneggiatura originale di Kill Bill

In memoria di Lucio Fulci

Conviene davvero pagare i soldi del biglietto di questo secondo capitolo di Kill Bill. Conviene anche ai più irriducibili amanti dell’horror a tinte splatter, conviene a chi ama mettersi alla prova davanti al festival del citazionismo. Esso, dati i presupposti del primo caleidoscopico volume, è l’equivalente di un viaggio, di una full immersion nel cinema di genere non solo asiatico ma soprattutto italiano, il cinema degli anni Settanta, quello dei bei tempi. The Bride is Back. La sposa è tornata, e la sua vendetta sul grande schermo si compie nel segno di due grandi registi massimalisti, proprio come Tarantino: Sergio Leone e Lucio Fulci. Allo stile del primo, sicuramente, appartengono tutti i primi venti minuti della pellicola, sottolineati dalle musiche di Ennio Morricone in Dolby Digital e da un bianco e nero da favola. A Lucio Fulci, il maestro romano del gore, autore di must come Zombi 2 e L’aldilà, Tarantino dedica intere sequenze: col ritmo dei suoi film scandisce l’ennesimo ritorno, stavolta addirittura dalla tomba, della sposa/erinni Uma Thurman, decisa più che mai a far fuori il fantomatico e crudele Bill, anche a discapito dei suoi sentimenti, della sua umanità. Infatti in questo capitolo l’eroina in tuta da ginnastica e katana dovrà fare i conti soprattutto con spettri come l’amore e la morte, combattendo prima contro di questi e poi contro il suo nemico in carne ed ossa, cercando di ucciderlo con una tecnica speciale capace di fermargli il cuore: organo in cui, nell’immaginario, risiedono proprio i sentimenti. La chiave di lettura di quello che a prima vista sembrerebbe un delirio a metà tra Matrix e un vecchio film di Bruce Lee, ci è stata suggerita dallo stesso regista quando ha affermato che Kill Bill è il film che andrebbero a vedere nella realtà di tutti i giorni, di sicuro, i protagonisti dei suoi precedenti Le iene e Pulp Fiction. Immaginatevi, quindi, la sposa imbrattata di sangue combattere sullo schermo mentre tra gli spettatori paganti intravediamo i due fratelli Vic e Vincent Vega che sgranocchiano, divertiti, del popcorn. Il film è anche un omaggio al Quentin spettatore, quello che aveva visto fino allo spasimo Lo squartatore di New York, da parte del Quentin regista. Kill Bill è, per non tradire gli stilemi amati in gioventù, un meccanismo che obbedisce ad una logica precisa e alquanto elementare: che sazia gli assetati di vendetta e chi, finalmente, vuole vedere un po’ di splatter senza l’ausilio del computer. Potremmo definire Kill Bill orientale nella confezione ma occidentale nell’anima, perché la sua protagonista non rispetta l’antico detto orientale che vuole che i nemici si aspettino, spada alla mano, sull’argine di un fiume. Esso si incentra, invece, sulla risalita dal basso di una donna, di una madre, che ha perso tutto ed adesso vuole vendetta. Al grandguignolesco gioco al massacro partecipano tutti gli elementi di contorno al servizio della carneficina finale: amputazioni, zombie in stile Fulci, pupille che grondano sangue come non se ne vedevano dai temi di Paura nella città dei morti viventi in poi, la musica di Sette note in nero by Bixio, Frizzi e Tempera per il ritorno della sposa dal suo stato comatoso. Insomma, chi più ne ha più ne metta nel calderone dell’alchimista Quentin, e se a un certo punto le immagini si tramutano in cartoon (ma sarebbe più giusto parlare di anime) non c’è da spaventarsi: il tutto è filtrato dalla consapevolezza di un cinema che picchia duro sul nervo ottico e sui timpani. Tarantino, dopo aver passato anni a recuperare e distribuire film considerati pura serie B, lavori che dietro la macchina da presa avevano i nomi di Enzo G. Castellari, Dario Argento, Umberto Lenzi, Michele Massimo Tarantini e Lucio Fulci, si è finalmente deciso rendergli un omaggio definitivo. Come sono lontani, almeno nelle intenzioni, i tempi di Jackie Brown...

[maggio 2004]


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