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Venezia 77 - Quo vadis, Aida?

Pubblicato il 4 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Quo vadis, Aida?

La pellicola di Jasmila Žbanić sembra finalmente smuovere le linee rarefatte finora perseguite dal Festival con Lacci e Amants – entrambi basati su vicende personali che trascendono lo spazio e il tempo. Quo vadis, Aida? è un racconto crudele, onesto, reale: quello della strage di Srebrenica, massacro che pone fine ad uno dei conflitti più sanguinosi dell’Europa contemporanea.
L’11 luglio 1995 la città, sulla carta dichiarata “area di sicurezza” sotto la protezione dei caschi blu olandesi, viene occupata dalle truppe serbo-bosniache. La popolazione viene deportata, le famiglie spezzate, la comunità abbandonata a sé stessa. La guerra divide: la storia ce lo insegna, il film lo sottolinea riportando alla luce la tragedia umana di Aida (Jasna Đuričić), interprete alle Nazioni Unite. Il suo ruolo di mediatrice le garantisce una sorta di immunità posticcia, un’immunità del tutto impossibile e che tuttavia le dona la speranza di portare in salvo il marito e i due figli.
Aida non solo ha accesso alle cruciali verità che regolano la carneficina, ma detiene il potere di attraversare le linee di demarcazione fra popolazioni a cui è stato insegnato qualcosa di estraneo e familiare al tempo stesso. Aida è l’unico cosiddetto "civile" in grado di entrare e uscire dall’accampamento dell’ONU, l’unico legame linguistico fra la sua terra, il nemico e i vertici militari. Aida non è un personaggio, bensì un individuo in carne ed ossa, e dall’inizio alla fine del lungometraggio la vediamo correre nel disperato tentativo di trovare una via di fuga – per sé stessa e per i suoi cari.

L’intera trama si muove sul concetto di confine: fisico, psicologico, emotivo. C’è un confine fra Aida e i suoi simili, c’è un confine fra il carnefice e la vittima, c’è un confine fra chi vive e chi muore. E, ogni volta, si tratta di un confine fittizio, un confine dapprima inesistente, un confine tracciato da circostanze apparentemente inevitabili. Aida non è un personaggio e al tempo stesso lo è, poiché pretende d’attraversare i divari su cui la brutalità intesse i propri "fatti". La sua missione, come col senno di poi possiamo facilmente intuire, è destinata al fallimento. La domanda ricorrente – dai toni, oltretutto, tragicamente retorici – su cui ruotano realtà storica e cinematografica è sempre la stessa: dove vai? Quo Vadis, Aida?

Ma, al di là delle barriere poste all’interno delle gerarchie militari come delle liste che inesorabilmente separano i condannati dai sopravvissuti, a colpire nell’opera di Jasmila Žbanić sono la sofferta chiarezza e l’angosciata lucidità con cui lo sterminio viene descritto. Jasna Đuričić porta sul suo volto le cicatrici lasciate dalla "banalità del male" – per quanto scontato possa suonare, le numerose scene in cui gli esseri umani vengono trasformati in un elenco e spartiti in base ad una sorte già preventivamente fissata è agghiacciante, e riporta alla memoria scenari fin troppo simili.
La veridicità con cui la cinepresa dipinge la strage è dolorosa, terribile, il terrore provato in sala è quasi inaspettato. Nell’unico flashback del film, la protagonista cerca soccorso nel ricordo di un mondo distante, irreale, "molto lontano e incredibilmente vicino".
Così riaffiorano i volti delle vittime, tanto in vita quanto in morte: una lunga carrellata ci mostra lo sguardo già assente di chi poi è stato rimosso dalle pagine della storia. E perfino Aida, una volta svegliatasi, tenta di dimenticare. Non a caso, sarà lei a bruciare le foto di famiglia e il diario del marito, cercando di costruire per sé e per i suoi figli una nuova identità in grado di garantire loro un posto nell’indice dei superstiti. In questo gesto non c’è nessuna poesia, nessuna finzione, soltanto un disperato istinto di autoconservazione e di preservazione dall’atrocità in atto. Le stesse istantanee saranno il motivo per cui, a guerra finita e a confini svaniti, l’ormai ex interprete deciderà di tornare nella città natale, insegnando nella scuola frequentata dai figli dei suoi ormai ex carnefici. Ma i suoi occhi, come quelli degli abitanti di Srebrenica, appaiono assenti e immediatamente si ripresenta il quesito su cui gravitano passato e futuro: Quo vadis, Aida?


CAST & CREDITS

(Quo vadis, Aida?); Regia: Jasmila Žbanić; sceneggiatura: Jasmila Žbanić; fotografia: Christine A. Maier; montaggio: Jarosław Kamiński; interpreti: Jasna Đuričić (Aida), Izudin Bajrović (Nihad), Boris Ler (Hamidja), Dino Bajrović (Ejo), Emir Hadžihafizbegović (Joka), Boris Isaković (Ratko Mladić), Johan Heldenbergh (Thom Karremans); produzione: Deblokada (Damir Ibrahimović, Jasmila Žbanić), coop99 filmproduktion (Bruno Wagner, Barbara Albert, Antonin Svaboda), Digital Cube (Cristian Nicolescu), N279 Entertainment (Els Vandevorst), Razor Film (Roman Paul, Gerhard Meixner), Extreme Emotions (Ewa Puszczyńska), Indie Prod (Nicolas Eschbach, [Eric Névé], Margot Juvénal, Simon Gabriele), Tordenfilm (Ingunn Sundelin, Eric Vogel), TRT (Ibrahim Eren), ZDF Arte, ORF, BHRT; origine: Bosnia ed Erzegovina, Austria, Romania, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Francia, Norvegia, Turchia 2019; durata: 104’


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