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REALISMO, NEOREALISMO E ANTIREALISMO: VINCENZO MARRA

Pubblicato il 18 ottobre 2004 da Edoardo Zaccagnini


REALISMO, NEOREALISMO E ANTIREALISMO: VINCENZO MARRA

A Vincenzo Marra certi paragoni non piacciono. Il suo volto si mostra contrariato, prima che onoratissimo, orgoglioso e soddisfatto. Perché l’infinita ammirazione, e la passione sincera per il genio di Visconti, Zavattini o Pasolini, non significano necessariamente omaggi sparati come razzi di segnalazione, facili da usare come imprescindibili e rilassanti griglie interpretative, o come supposizioni critiche a scopo facilitativo, azzardate. Marra ha la faccia di chi non aveva mai pensato che il mare di Tornando a Casa, prosciugato nel cemento anonimo e opprimente di Vento di terra, ricordasse la trasformazione dei Valastro di N’ toni in quei Parondi fratelli di Rocco, contadini ormai inurbati. Non si era accorto che quei pescatori sconfitti, ma riscattati da una nuova consapevolezza (quelli de La terra trema), perdevano, gratis, il mare come i suoi protagonisti facevano nel passaggio irreversibile ad un irrespirabile vento di terra. E non lo aveva fatto perché a parte l’incontestabile parentela di classe tra tutti questi prigionieri della sofferenza, l’ultima storia proletaria del marxista Visconti, (dichiarato proseguimento ideale del precedente La terra trema), si proponeva di rivelare l’oscurità strategica dell’ideologia proletaria di fronte alla nuova società industriale, e denunciava la crisi del proletariato come portatore di valori in sé, nell’impatto con una nuova realtà sociale che nascondeva il terreno stesso della lotta. Cosa che a Marra non interessa: diversa l’epoca, diverso lo scopo e diverse tante altre cose. Per ciò il regista di Vento di Terra ripete che i paragoni li fanno gli altri - dopo - e che magari il suo piacere sta nella consapevolezza di aver lavorato seriamente e sinceramente. Aver detto di persone, prima che aver fatto il cosiddetto cinema sociale. Aver parlato di realtà, per raccontarle, e in quanto tali denunciarle. E se averlo fatto con un linguaggio abile, pudico, asciutto e scarno, fa lampeggiare la spia di quella grande stagione, figlia del bisogno di verità e di un parlar franco che sottoponesse la nazione a un processo critico-conoscitivo, Marra non può che giudicare folle chi interpreta il cinema come un’imitazione del lavoro altrui, senza negare che tutti siamo quello che abbiamo fatto, quello che abbiamo visto, quello che abbiamo imparato, quello che abbiamo amato. All’autore di Tornando a casa, a cuore stanno sostanzialmente le possibilità negate a priori. E il suo è il racconto del disperato tentativo di crearne, basato sull’intelligenza, la volontà, il desiderio, il senso di giustizia dei suoi protagonisti, tutti positivi ma terribilmente esposti al rischio di una caduta insostenibile. E positivi non significa poveri cristi perdonabili, come ad esempio potevano essere le violentissime figure di Pater familias, un film di disagio e criminalità girato a Casoria, nell’hinterland napoletano, qualche anno fa. Ma positivi nel senso più completo della parola: ragazzi che scelgono consapevolmente la via più lunga, quella della legalità, dell’altruismo, della giustizia morale. La tragedia che li coglie non è il volere di un destino divino o superiore, ma una possibilità concreta, materializzabile nel quotidiano, alla quale è difficilissimo sfuggire. Una realtà usuraia che strozza con l’assenza di strutture, di aiuto, di solidarietà, di possibilità, appunto. E che brucia la purezza e la bellezza dei personaggi marriani senza aver concesso loro nessuna chance, noncurante del loro impegno, del loro valore, del loro sacrificio. Ma che sarebbe spietata almeno altrettanto, con chi ha scelto la via più breve, quella del male ufficiale: tradizionalmente più corta proprio perché più pericolosa. Ma forse la scelta del regista punta su certi personaggi, proprio per sottolineare la forza abominevole di questa assenza di possibilità, che falcia i più forti, figurarsi i più deboli. A chi concede alla forza interiore, o alle qualità intrinseche di un individuo, o anche alla fortuna, la capacità di diventare possibilità, Marra sembra rispondere con scetticismo, negando ogni possibilità alla speranza. Magari non è proprio così, e non bisogna credere per forza nel sogno americano per avvertire un senso del tragico che in alcuni tratti sembra sorpassare il reale.

[ottobre 2004]


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