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Remo è morto, evviva Remo!

Pubblicato il 23 giugno 2015 da Fabiana Sargentini


Remo è morto, evviva Remo!

Da quando ho appreso della fine della vita di Remo Remotti il mio cuore ha cominciato a sanguinare. Nato il 16 novembre del 1924 sotto il segno dello scorpione Remo ha compiuto novant’anni tondi e se n’è andato. Se n’è andato dopo una vita alla grande, dopo aver fatto e detto tutto quello che aveva voluto.
L’ho conosciuto da bambina, quando lui e sua moglie, Luisa Loy, sorella del noto regista, erano amici di mia madre. Lo ricordo vivace, sorridente, con la voce forte e la risata sempre tra i denti.
Dopo una fuga in Perù e una in Germania negli anni della gioventù torna nell’amata e odiata città di nascita, del cui fondatore prende il nome, e dall’amata e castrante madre vedova.
Remo voleva fare il pittore ed era arrivato al cinema, allo spettacolo quasi per caso. Ha lavorato con registi del calibro di Francis Ford Coppola, Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Ettore Scola, i fratelli Taviani, Peter Ustinov, Nanni Loy, Maurizio Nichetti, Carlo Mazzacurati e Carlo Verdone.

Scrive di sé in Diario segreto di un sopravvissuto: "La situazione edipica con questa giovane e bella madre poteva fare di me quello che si chiama un frocio perso, o peggio ancora «un frocio da pisciatoio». Mi sono salvato grazie alla mia passione per le donne e sono diventato invece un Casanova. Secondo gli psicoanalisti è la stessa cosa, secondo me invece sono due cose ben diverse".
Come in un catartico atto mancato nel celebre Sogni d’oro del 1981 (Nanni Moretti alla regia) Remo ha recitato la parte di Freud in una magnifica scena comica: in una telefonata con Jung si giustifica del vivere ancora con la madre con "qui si fa dell’autoanalisi" e subito dopo, al suono della porta di casa che si apre, si nasconde dietro la porta e fa Buuuu per spaventarla: da qui nasce un dialogo esilarante che parte da un "quanto sei bella, mamma, sei bella come il sole" al "io ti ammazzo, ammazzo mia madre" con le mani strette al collo della donna alla madre che gli da del deficiente e lui che fa le vocine, i balletti e le espressioni di uno scemo del villaggio.

Nel 2002 lo contattai per intervistarlo per un documentario dal titolo Sono incinta: sapevo che era diventato padre a 64 anni, cosa rara che mi incuriosiva.
Si definisce subito davanti alla telecamera "un maniaco sessuale di sinistra" e racconta senza remore la sua storia: "Una ragazza che aveva 33 anni e io che ne avevo trenta più di lei, 63, mi svegliò dicendo: ’Remo, sono incinta’. Le ho detto, con gli occhi socchiusi: ’e tu mi svegli per dirmi ’ste cazzate?’ (autoironizzando sulla figlia)".
E continua: "Tra parentesi vi ricordo che, tanto per fare qualche nome, Gary Cooper era già morto, Tyron Power a 44 se n’era andato, Masaccio a 37 era partito, per non parlare di Piero Manzoni o Yves Klein a 32, io invece a 63 anni, mentre c’è gente che sta lì vent’anni e non ha un figlio, io, volgarmente parlando, con una botta ho fatto tutto".
Il mio film fu arricchito dalla sua presenza e Remo fu generoso con me e protettivo col lavoro che avevamo fatto assieme.

Durante la lunga e fortunata strada compiuta dal documentario Remo partecipò a molte proiezioni, sempre pronto a raccontare la sua esperienza, a procacciarsi nuovi fan facendo ridere altre bocche con le sue oscenità. Cit. Te puzza la fregna, le tre cose per cui vale la pena vivere la fregna il bucio der culo e la sorca, la fica non vale più un cazzo...
Paradossi sessuali, un crescendo scurrile per il gusto di scandalizzare, di épater le bourgois durante i concerti, nei reading, nelle interviste tutte incentrate sull’ossessione dell’individuo sul sesso individuata da Freud stesso. Chi più di Remo viveva il complesso di Edipo? Figlio unico di madre vedova castrante da cui fuggì tutta la vita, unica donna forse veramente amata (almeno prima di diventare padre).

Aveva desiderato ardentemente essere riconosciuto come artista visivo, come pittore e invece era finito a parlare con la gente, a recitare se stesso, a scrivere versi impertinenti: non risparmiava nulla e nessuno, la gioventù, la vecchiaia, l’omosessualità, la politica. L’erotomania prendeva le forme molteplici del verso libero su rif di chitarra, l’orazione pornografica, l’ode proletaria dal titolo La fica non vale più un cazzo immaginando un mondo senza senso in cui nessuno dei compagni che alzava il pugno in aria, come un cazzo eretto, era ormai demotivato perché "la principale, se non unica, ragione di essere, di vivere, di lavorare era crollata", in cui "il 68 non era servito a un cazzo, il 69 nemmeno".
Osava tutte le possibili declinazioni del sesso, "prima del decesso molto sesso", "sesso da ospizio", evocando se stesso intento in pratiche orali senza dentiera, immagini surrealmente raccapriccianti e tragicamente comiche.
Finito due volte in clinica psichiatrica, conosceva e amava i matti come lui: con ironia ne raccontava le disavventure, i fallimenti, le disgrazie con quel sorriso barbuto travolgente ed esasperante.
Ha evocato tutta la vita il suo addio alla città che lo ha visto nascere, che lo amato: immutato il valore del memorabile testo di "Mamma Roma addio":
«Me ne andavo da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del "volemose bene e annamo avanti", da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei "Sali e Tabacchi", degli "Erbaggi e Frutta", quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle... (...) Me ne andavo da quella Roma dimmerda! Mamma Roma: Addio!»
Ti penserò sempre quando sentirò alcune parolacce romane perfette sulle tue labbra e continuerò a sorridere vedendo il tuo primo piano che guarda in macchina e mi dice "Remo, sono incinta"...
Remo è morto, evviva Remo!


Foto di Ilaria Scarpa


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