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Renzo e Lucia

Pubblicato il 28 gennaio 2004 da Alessandro Izzi


Renzo e Lucia

Il film per la televisione di Francesca Archibugi (molto liberamente tratto dal Fermo e Lucia e da I promessi sposi di Manzoni) parte da un’operazione di rimozione estremamente ardita e coraggiosa. Ad essere eliminata è, prima di tutto, l’ingombrante figura del narratore onnisciente comune ad entrambi i romanzi: una figura paterna, invadente, nel suo continuo colloquio con il proprio lettore, la cui funzione, nell’economia dell’opera, è quella di filtrare gli eventi secenteschi della narrazione attraverso le lenti ammorbidenti di una visione assolutamente ottocentesca ammantata da una saggezza senile ed ironica. Ma, ad essere rimossa in maniera ancora più drastica dall’arco narrativo è, alla fine, quella fiducia messianica verso una Provvidenza governatrice e regolatrice del fato umano che, nel corso del tempo, è divenuta una sorta di cifra proverbiale, un vero e proprio slogan (altamente riduttivo) dell’intero mondo poetico del romanziere. Alla logica causale manzoniana che vede nelle difficili ed incomprensibili peripezie dei propri personaggi le tracce in filigrana di un disegno superiore che può essere compreso, al più, solo a posteriori da quegli stessi protagonisti (e solo quando tutto il dramma si è già bruciato in un’adesione fideistica che non corrisponde, comunque, mai alla rassegnazione), si sostituisce, nella visione della Archibugi una logica casuale per cui gli eventi si dispongono secondo un disegno capriccioso ed incomprensibile che culmina solo per caso nell’agognato happy-end. Poiché, comunque, i confini della narrazione scelti da Manzoni (dal celebre impedimento del matrimonio al finale scioglimento dell’intreccio) favorivano una visione Causale del creato in cui ogni evento ed ogni elemento narrativo sembra potersi spiegare solo alla luce del finale risolutore, si è resa necessaria la scelta estremamente coraggiosa di allargare i limiti del racconto attraverso l’osservazione di un “prima” e di un “dopo” narrativi che vivessero un rapporto contraddittorio con la vicenda centrale costituita dal corpo romanzesco. Come a dire che si può credere che il mondo abbia una sua logica consequenziale solo se si limita il proprio sguardo entro i limiti di una cornice ben definita e che basta appena superare gli argini di questa cornice per trovarsi di fronte al baratro possente dell’irrazionale, dell’inspiegabile, del capriccioso e dell’illogico. Questa visione, in sé molto novecentesca, è, però, contemporaneamente anche profondamente secentesca, per cui si viene a creare nel corpus narrativo la possibilità di una serie di assonanze tra il mondo narrato e realtà contingente estremamente fecondo. Non è un caso che entrambe le puntate di questo film televisivo si aprano con figure simbolo di un inconscio psicanalitico, quasi a voler dichiarare che il mondo della fiction derivi tutta la sua ragion d’essere da un processo psicanalitico in cui ad essere messo sul lettino dell’analista è proprio il romanzo manzoniano. Sicché il vento della prima puntata che abbatte proprio l’immagine votiva della Madonna (simbolo transeunte della presenza della provvidenza divina sulla terra), sostituito dal paesaggio subacqueo e tutto interiore della seconda, è prima di tutto estrinsecazione visuale di quelle forze primordiali ed irrazionali che determinano le direttive di tutta la successiva narrazione. Se dobbiamo convenire che il “dopo” narrativo (rispetto al corpus romanzesco) si esaurisce in un breve siparietto di pace domestica, non da meno è da rimarcare come sia proprio il “prima” ad occupare l’attenzione degli sceneggiatori (e della stessa regista). Ne risultano potentemente arricchiti due personaggi: Lucia e Rodrigo (qui efficacemente interpretato da un inedito Stefano Dionisi) che vengono riletti secondo una visione novecentesca assai azzeccata rivelando, soprattutto il secondo, un’inaspettata vocazione dostoevskiana. Se Renzo (ben arpeggiato dal giovane Stefano Scandaletti) ha relativamente poco spazio narrativo per dare campo ad una vera crescita interiore (la peste a Milano che lo vede maturare sembra realizzata per mero dovere contrattuale) e se Frà Cristoforo resta il grande neo della fiction perdendo tutta la sua funzione attanziale (nonché il suo tragico passato reso in una sorta di breve dichiarazione stampa sul letto di morte di Rodrigo), è da dire che sono proprio i personaggi femminili a trovare un maggior spazio drammaturgico. Notevole, infatti, è lo sviluppo narrativo della storia della monaca di Monza (ottima, rabbiosa Laura Morante) cui sono dedicate alcune delle soluzioni più felici di tutta l’operazione, mentre spessore inedito recupera la madre superiora interpretata con reminescenze pasoliniane da Laura Betti. Scevra da inutili vocazioni pittoriche (che avevano appesantito I promessi sposi di Nocita), la fiction vanta (caso più unico che raro in Italia) una fotografia non patinata, dai colori acidi e realistici che restituiscono un seicento squallido e appestato di grande efficacia. E c’è da rabbrividire al pensiero che a produrre il tutto sia la stessa Mediaset di Elisa da Rivombrosa.

(Renzo e Lucia); regia: Francesca Archibugi; sceneggiatura: Francesco Scardamaglia, Nicola Lusuardi, Francesca Archibugi; fotografia: Pasquale Mari; montaggio: Esmeralda Calabria; musica: Battista Lena; interpreti: Michela Macalli, Stefano Scandaletti, Stefano Dionisi, Stefania Sandrelli, Paolo Villaggio, Laura Morante, Laura Betti; produzione: Guido e Maurizio De Angelis per T.P.I. Victory Media Group

messa in onda: martedì 13 e mercoledì 14 gennaio 2004; ore: 21:00; rete: Canale 5

[gennaio 2004]


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