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Resistere a Deadwood: il crepuscolo digitale del western in tv

Pubblicato il 3 aprile 2007 da Sergio Sozzo


Resistere a Deadwood: il crepuscolo digitale del western in tv

’Deadwood era un ricettacolo di bari, truffatori, ladri, assassini, canaglie, ubriachi, ruffiani e prostitute, giunti in compagnia degli arbitri delle loro continue dispute: la frusta, la pistola, il coltello, e il pugno’John Hurt in Wild Bill

La Conquista del West è innanzitutto una conquista del palinsesto (Deadwood in Italia è passato su La7).
O una conquista del Mito: il film omonimo del 1936, uno dei più belli di Cecil B. De Mille, sul ’trio delle meraviglie’ Wild Bill-Buffalo Bill-Calamity Jane, è noto soprattutto per il Wild Bill Hickock di un Gary Cooper ’nel fulgore della sua bellezza’ (cfr il Morandini).
Dopo di lui, Wild Bill al cinema è Charles Bronson, in quel Moby Dick nel West che è il formidabile Sfida a White Buffalo (1977) dell’ingiustamente dimenticato J. Lee Thompson.
Poi, arriva Walter Hill. In tv. Arriva lo straordinario, strabiliante Wild Bill dell’amico Keith Carradine, ultimo bagliore di umana sembianza all’interno della degradata gens che popola la Deadwood di David Milch: i cinesi danno i cadaveri in pasto ai porci, ’Doc’ fa strani e cruenti esperimenti di balistica coi fori di uscita dei morti ammazzati (la Scientifica conquista il West…), le prostitute giù al bordello sono tutte sfigurate, storpie, minorate mentali – paese di cercatori d’oro, dove la cupidigia e la sete di ricchezza hanno trasformato gli abitanti in mostri grotteschi capaci di ogni crimine e bassezza.
Mai si era visto – al cinema o nel piccolo schermo delle case nella prateria, dei pony express, di Rawhide dove Eastwood ha imparato a stare a cavallo – un West così spietato, violento, crudele, senza speranza.

Walter Hill arriva nel 2004 a dirigere l’episodio pilota di questa serie (passato alla storia anche per i 51 “fuck” presenti nei dialoghi in un’ora scarsa di episodio…) dritto dritto dall’essere l’autore di Wild Bill, suo bel film del 1995 con Jeff Bridges nel ruolo di Hickock, Ellen Barkin in quello di Calamity Jane, e l’immancabile Keith Carradine (che commozione nel trovarsi al cospetto di Carradine e Hill che parlano di Robert Aldrich lo scorso ottobre a Torino…) questa volta passato a interpretare Buffalo Bill in una breve sequenza.
Un film che Hill trae dal racconto Deadwood di Pete Dexter, e dalla pièce Fathers and Sons di Thomas Babe, e che per tutta la prima, geniale, mezz’ora sembra voler fare piazza pulita di tutto un immaginario western che Wild Bill attraversa e con furia omicida incontrollabile polverizza: serie di duelli narrati uno dietro l’altro in cui l’infallibile cowboy è implicato in una rissa in un saloon, fa fuori un pellerossa, cinque-sei cacciatori di pelli tra i ghiacci, un gruppo di texani ’dell’Unione’, un vecchio sulla sedia a rotelle a cui aveva rubato la donna, e finanche il suo vice.
Poi Bill si ritira a Deadwood, e il film di Hill diventa un beckettiano western da camera sin troppo memore delle atmosfere de Il pistolero (1976) di Don Siegel – opera comunque fondamentale e fondante per la modernità del genere western.
Dunque il regista riprende il discorso con la serie di Milch, di cui è “consulting producer” – ma è lo stesso discorso, se non proprio dell’ ‘aldrichiano’ Geronimo del 1993 (l’Ulzana’s Raid di Hill e Milius…), almeno di quel magnifico Last Man Standing con Bruce Willis del 1996: un film che contribuisce alla sostanziale ridefinizione del genere western al cinema, avvenuta negli anni ’90 aperti da Balla coi Lupi di Kostner (1990) e continuati con Gli Spietati di Eastwood (1992), Posse di Mario Van Peebles (1993), Wyatt Earp di Lawrence Kasdan (1994), Pronti a morire di Sam Raimi (1995), Dead Man di Jim Jarmusch (1995): Deadwood è in realtà una serie figlia di tutti questi film, un immaginario ‘rinnovato’ che vede la sua fonte vitale però in un capolavoro del 1980, ovvero l’immenso I cancelli del cielo di Michael Cimino – sia Wild Bill che il pilota di Deadwood che tutti i film citati sopra provengono da lì, dallo sguardo epico/etico/politico di Cimino, dalla contea di Johnson dove i potenti allevatori di bestiame possono impunemente decidere il genocidio di tutti i contadini immigrati non in regola per riprendersi i terreni, dagli occhi stanchi e disincantati di Kris Kristofferson (e il ciclico ritorno di John Hurt nel western degli anni ’90 non può essere casuale…)

Seppure il micidiale incipit della puntata di Deadwood diretta da Hill sembri rimandare invece al cinema di Hawks, e particolarmente alla ’trilogia dell’assedio’ (Un dollaro d’onore, 1959; El Dorado, 1967; Rio Lobo, 1970) – con una visione però completamente ’rovesciata’ del cliché hawksiano: lo sceriffo che si ritrova in guardiola un furfante che la popolazione intera rivendica per poterlo linciare per bene, preferisce impiccarlo lui di sana pianta sulla trave del portico di fronte al suo ufficio, pur di non avere problemi con la folla assetata di sangue.
Sembra assurdo, dopo questa tabula rasa del ’West cortese’, che Walter Hill sia tornato nel 2006 a girare per la tv una miniserie in due puntate invece perfettamente fordiana, dove i suoi ’Cavalieri’ tornano ad avere le ’Lunghe Ombre’, come nel capolavoro The Long Riders del 1980 – e davvero ’Cavalcarono Insieme’ i protagonisti di Broken Trail, nuove tre ore per la televisione realizzate da Walter Hill: un western bellissimo che si porta addosso i segni del miglior film del Kevin Costner regista ad oggi, lo struggente Open Range del 2003 - come il John Wayne di Ford/Hawks/Siegel segnava il western ‘classico’, così il Kostner corpo kasdaniano segna anche coi suoi film la ‘contemporaneità’ del genere - in cui Tomas Haden Church e Robert Duvall scortano la loro mandria di cavalli attraverso praterie, valli, montagne, laghi e pianure di un West questa volta ripreso in digitale, ma un digitale che non rinuncia ai campi lunghi e lunghissimi, ai tramonti, e ai crepuscoli.
Duvall e il suo nipote mandriano salvano la vita ad un gruppo di immigrate cinesi che stavano per finire a fare le prostitute, si innamorano, amano, piangono per un cavallo morto, o per una lettera d’amore, hanno dei valori, ci credono, li portano avanti.
Dopo Deadwood, Walter Hill dimostra con Broken Trail il suo deciso atto di resistenza: possiamo credere ancora al crepuscolo sull’orizzonte dopo le lunghe cavalcate sfiancanti. E se proprio deve essere, allora che sia un crepuscolo digitale.


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