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Riflessioni - Mozart ad Auschwitz

Pubblicato il 26 gennaio 2006 da Alessandro Izzi


Riflessioni - Mozart ad Auschwitz

Il ventisette gennaio più che una data sembra, quest’anno soprattutto, un incrocio astrale di coincidenze, un gioco del destino in cui si ritrovano uniti con un sottile filo rosso momenti storicamente lontani eppure wendersianamente vicini.
Quando si scelse questa data per la commemorazione delle vittime della Shoah si pensò per un momento che il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz era anche, paradossalmente, la data del compleanno di Wolfgang Amadeus Mozart? Ci si accorse che il destino, tirando a caso come sempre i suoi dadi, ancora una volta univa, nello spazio di una giornata destinata a ritornare ciclicamente di anno in anno, il ricordo delle vette più sublimi e delle abiezioni più atroci di cui era stata capace la mente umana?
Mozart e i campi di concentramento. Due realtà inavvicinabili. Perché cosa potrebbe mai avere a che spartire il sublime genio della musica, l’eterno fanciullo autore delle più straordinarie musiche mai composte con l’orrore dei lager e l’abominio della soluzione finale? Niente salvo la considerazione incredibile che le note mozartiane in quei campi venivano, di fatto, eseguite. E nemmeno tanto sporadicamente.
Erano compagne fedeli dell’orrore quotidiano, echeggiavano nei cortili, con il loro tono vagamente salottiero e con le loro geometrie terse come l’aria di montagna, mentre la gente moriva tra il fango e la miseria.
La Germania del Terzo Reich aveva appreso fin dall’inizio, con lucidità brutale l’arte tutta cinematografica dell’uso a contrasto della musica sulle immagini.
Le note mozartiane, e con esse tutta la musica, da sempre consolazione degli affanni quotidiani, erano diventate, nelle mani degli aguzzini, una nuova, indicibile forma di tortura.
L’uso di piccole orchestrine, spesso obbligate a comporre marcette e temi odiosi per accompagnare le quotidiane attività del campo era una pratica diffusa un po’ ovunque nei luoghi di tortura europei. E spesso, tra le mura poteva sorgere inaspettato anche il capolavoro destinato a passare alla storia. Il Quatuor pour la fin du temps di Messiaen prese corpo proprio tra le mura di un campo di prigionia (a Görlitz) per un violoncello con solo tre corde e un pianoforte stonato. Lo stesso Concertino per piano ed orchestra di Szpilman, la cui composizione è stata immortalata al cinema da Polanski ne Il pianista, venne composto tra le mura del ghetto di Varsavia. Ed è sorprendente che una musica così piena di vita possa sorgere spontanea in luoghi così abietti e disperati.
È, altresì certificato che, nella città-ghetto di Terezìn ci fu un’incredibile esplosione di creatività musicale. Gideon Klein, compose qui un Trio per archi e una Sonata per pianoforte, Pavel Haas scrisse qui i 4 lider su testi cinesi e il suo proverbiale Studio per orchestra. Hans Kràsa, infine, eseguì qui la sua operina per bambini Brundibàr. composta qualche anno prima e bloccata per via delle leggi razziali. E citiamo solo i titoli che, a modo loro, sono riusciti col tempo ad entrare nel repertorio classico di esecutori e orchestre.
Parlare della musica composta nei campi di concentramento non è impresa facile. Altrettanto difficile parlare della musica che vi veniva semplicemente eseguita vuoi su ordine di aguzzini spietati che sembravano amare la tortura a ritmo, vuoi per quei pochi fortunati che potevano, di tanto in tanto, rifugiarsi tra le note per sfuggire o reagire all’orrore. Perché non ci riesce più di ascoltare con lo stesso spirito una danza turca di Mozart quando ci sfiora il pensiero che quella stessa musica accompagnava le corse in cerchio di prigionieri nudi e sfiniti dalla fame.
Come ha potuto la musica mantenersi integra di fronte a tanto orrore? Passando con ali di cristallo sull’abiezione circostante, le note del genio di Salisburgo hanno potuto davvero mantenere intatta la loro carica di ingenua profondità? O non si sono piuttosto insudiciate per sempre anche loro nel fango e nel sangue? Quello, in fondo, che è accaduto anche ai nostri occhi e alle nostre orecchie che, da allora, non hanno più saputo guardare ed ascoltare allo stesso modo.

[Gennaio 2006]


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