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Ritratti: Ben Gazzara

Pubblicato il 7 agosto 2007 da Giuliana Muscio


Ritratti: Ben Gazzara

Bologna. A 77 anni Ben Gazzara, smagrito e bianco di capelli, ha ancora lo sguardo beffardo e acuto del suo film d’esordio, The Strange One di Jack Garfein, girato cinquant’anni fa con alcuni dei suoi colleghi dell’Actor’s Studio, e presentato a Bologna nella 23esima edizione del Cinema Ritrovato. Gazzara è presente al festival anche con il suo secondo film, Anatomia di un delitto di Otto Preminger, l’intramontabile legal thriller che ha per protagonista James Stewart e propone Gazzara nel ruolo del marito geloso di un’incredibilmente sexy Lee Remick. Questi due film arrivavano dopo un precoce esordio in televisione, negli sceneggiati in diretta dell’età d’oro della tv americana che hanno lanciato molti altri attori del ’Metodo’, cresciuti come lui nell’ammirazione per Marlon Brando. Nel 1952 erano suoi compagni di corso alla scuola di Strasberg Paul Newman, Steve McQueen e James Dean: una competizione non da poco per il giovane attore italoamericano.
Gazzara arriva al teatro dal quartiere italiano dell’East Side di New York, figlio di un operaio siciliano e di una casalinga che aiutava il bilancio familiare cucendo in nero. Orgoglioso delle sue radici italiane (“No, non avrei mai cambiato il mio cognome; i produttori all’inizio me lo chiedevano, ma sarebbe stato un tale insulto per la mia famiglia... ”) racconta che in casa si parlava siciliano, non italiano; durante gli anni Trenta, come la gran parte degli italiani all’estero, anche suo padre stava dalla parte di Mussolini, ma non appena scoppiò la seconda guerra mondiale e il fratello maggiore partì proprio per la campagna d’Italia, in famiglia si sentirono prima di tutto americani. Ben stesso seguiva l’avanzata alleata, segnandola con le bandierine sulla cartina della penisola. Come infermiere il fratello di Gazzara ebbe modo di occuparsi di Ezra Pound, già debole e disturbato.
Proprio in quegli anni, oltre alla geografia del suo paese d’origine, Ben scopriva anche il teatro in un laboratorio del quartiere, organizzato per tenere lontani dalla strada i ragazzi; di lì poi studi al city college e la recitazione, con Piscator e Strasberg, e poi tanto teatro, televisione con Sidney Lumet e i due bei film già citati. Proprio nel vivace mondo del teatro americano degli anni cinquanta Ben incontra Anna Magnani (allora in America per La Rosa Tatuata che Tennessee Williams aveva scritto per lei) e l’attrice lo convince a venire in Italia per partecipare a quello gioiello dimenticato che è Risate di gioia (Monicelli 1960) a fianco anche di Totò. Gazzara passa così dallo stile esistenzialista tormentato del Metodo strasberghiano all’improvvisazione e alla versatilità della commedia neorealista; arrivato in Italia col suo siciliano domestico attraverso le sue fequenti sortite italiane (tra gli altri Ferreri, Tornatore e tanta tv) parla ora un italiano fluido, appena sfiorato da un accento siculo.

L’improvvisazione gli servirà quando inizierà a lavorare con Cassavetes, un attore-regista con il quale gira Mariti, L’assassinio di un allibratore cinese e Opening Night, diventando uno dei suoi interpreti preferiti, e uno dei volti più significativi del cinema indipendente americano degli anni Settanta.
In questi che sono forse gli anni più intensi della sua carriera, gira per Steven Carver un Al Capone in cui sostiene di interpretare la migliore resa del famoso gangster ( “Certamente molto meglio di quella gigionesca di De Niro ne Gli Intoccabili… ” è il suo commento, che mi autorizza a riferire.) Tra i suoi ruolo preferiti in assoluto Saint Jack di Peter Bogdanovich.
Negli ultimi anni ha lavorato anche con gli attori-registi italoamericani, in particolare con Turturro (Illuminata) e con il Vincent Gallo del personalissimo Buffalo 66, in cui affianca Anjelica Huston nell’interpretare la disturbata famiglia italaomericana del giovane Vincent (“Parla troppo, ma come regista è davvero bravo.”); passando per i Cohen del Grande Lebowski arriva a Dogville di Lars Von Triers (“Tutti mi avevano detto che lavorare con lui sarebbe stato terribile, invece si è rivelato una persona piacevolissima.”), restando sempre associato insomma al cinema indipendente e sperimentale.
Nell’ultimo film che ha interpretato (Looking for Palladin, ancora in post-produzione) intepreta il ruolo di un attore, vincitore di un Oscar, che si è ritirato misteriosamente in Guatemala e si rifiuta di tornare a Hollywood per girare il remake del suo film più famoso. Un po’ com Ben stesso, che si tiene lontano da Hollywood e finisce per lavorare spesso nel cinema marginale “dove ci sono pochi soldi”, sia in Italia che in America, e che vive nel suo ’buen retiro’ in Umbria cinque mesi all’anno.


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