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Ritratti - Jodie Foster: uno sguardo morale

Pubblicato il 1 ottobre 2007 da Fabiana Proietti


Ritratti - Jodie Foster: uno sguardo morale

L’avventura cinematografica di Jodie Foster è così piena e sfaccettata che un biopic sulla sua figura potrebbe attingere all’impostazione prismatica adottata da Todd Haynes per la sua felice rilettura del mito Dylan.
Dalla bimbetta della celebre pubblicità dei solari Coppertone, passando per i film Disney per famiglie, ma ribellandosi già in età adolescenziale a quel cliché con ruoli drammatici (Taxi Driver e il cammeo in Alice non abita più qui) o esperienze insolite oltre i confini nazionali (Casotto di Sergio Citti), Jodie Foster ha diradato sempre più le sue apparizioni, ritagliandosi ruoli di outsider, figure tormentate di raro spessore, che hanno spesso scandito le decadi del cinema americano.
In tempi in cui le dive-bambine, pur essendo promettenti talenti, franano miseramente non appena entrano a contatto con il dissoluto stile di vita hollywoodiano – valga per tutte l’esempio di Lindsay Lohan che di un successo Disney della Foster, Tutto accadde un venerdì, ha anche girato il remake – la parabola di Jodie Foster ha dello straordinario.
Ma del resto, già a 13 anni, la consapevolezza dimostrata nelle interviste che accompagnano oggi la versione dvd di Taxi Driver ne attesta la diversità rispetto all’altra giovane attrice impegnata in un ruolo di baby prostituta degli anni 70, la Brooke Shields di Pretty Baby (Louis Malle, 1978), invece segnata da un’esperienza recitativa troppo precoce.

Jodie sembrava invece comprendere alla perfezione il suo personaggio, così come l’intera atmosfera del film, che certo non immaginava di riproporre a tanti anni di distanza., attraverso la storia di un altro giustiziere stremato, che abbandonata la cabina del taxi, deve confrontarsi con una realtà metropolitana altrettanto violenta ed esplosiva.
Ma in fondo non è poi così strano. Jodie Foster porta nel cinema attuale quella moralità di cui erano intrise le pellicole americane del fecondo decennio dei ’70. Una moralità di sguardo e pensiero che non si traduce affatto nella scelta di personaggi ‘positivi’, ma piuttosto nel loro opposto, nella propensione per figure sempre moralmente ambigue, discutibili, ma proprio per questo incredibilmente vivide nel loro realismo, nella loro onestà e lucidità.
Da quando la giovane agente dell’FBI Clarice Starling restava irretita di fronte all’indiscutibile attrattiva del mostro Hannibal Lecter, mostrando così in modo incontrovertibile la fascinazione del Male, che alberga, latente, in ognuno, la Foster non ha fatto mistero del suo orientamento verso personaggi controversi, che negli ultimi anni hanno declinato ogni aspetto dello smarrimento dell’America – come di tutto il mondo occidentale – dopo quella fatale linea di demarcazione che è stato l’11 settembre. Una seconda perdita di innocenza, riconquistata a fatica dopo il grande scacco del Vietnam, che, quando la Foster si affacciava al mondo del grande cinema, aveva partorito opere di profondo malessere.

E’ quindi uno strano, dolente ricorso storico quello che lega le prime interpretazioni di Jodie agli ultimi ruoli, quasi che l’attrice desse il meglio di sé con l’adempiere non solo a un impegno cinematografico ma soprattutto etico, nei confronti di una società disorientata e ferita.
E se il personaggio di Erica Bain, come è stato detto più volte, riecheggia in modo frontale lo spirito americano, in quel cedimento inesorabile alla tentazione della violenza, della ‘giustizia’ diretta in prima persona – così come nella paura animale e disperata della protagonista di Panic Room – c’è molto dell’America contemporanea anche nel suo ruolo precedente, quello dell’algido avvocato di Inside Man, che, muovendosi con destrezza tra i siti del Potere politico ed economico, riesce a trarre in scacco il personaggio più losco della pellicola, proprio in virtù di un’amoralità e di una totale assenza di sentimenti che costituiscono la denuncia più forte lanciata dal film di Spike Lee contro la classe dirigente americana.
Jodie Foster ha invece mantenuto una sua eticità nei confronti del proprio mestiere d’attrice e il cinema americano le deve molto, soprattutto in questi ultimi anni, quando dopo lunghi periodi di assenza, è tornata in prima linea – e in più vesti: il suo ruolo di produttrice ha apportato importanti cambiamenti alla recente pellicola firmata da Neil Jordan – per raccontare il suo Paese e per non dimenticare.


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