X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Ritratti - Tim Burton

Pubblicato il 17 ottobre 2005 da Luca Lardieri


Ritratti - Tim Burton

Il 2005 verrà senz’altro riconosciuto come uno degli anni fondamentali nella filmografia di Tim Burton. Infatti grazie ai suoi ultimi due film, La fabbrica di cioccolato e La sposa cadavere, il geniale regista di Burbank ha dato una svolta alla sua poetica del diverso e dell’emarginato portandola verso il compimento ultimo. Una strada che l’autore aveva già intrapreso due anni fa con l’ispiratissimo Big Fish e che sicuramente non abbandonerà tanto presto, confermando la sua continua crescita registica di osservatore primo e unico di un mondo al resto della gente estraneo. Fin dai suoi primi cortometraggi Burton aveva portato lo spettatore a vedere sullo schermo, cose quotidiane e banali ri-trasformate e re-immaginate in visioni uniche, seguendo il suo motto di guardare alle cose sempre come fosse la prima volta, mantenendo l’entusiasmo del bambino e non lasciandosi plagiare da tutti gli insegnamenti e da tutte le dottrine di cui famiglia e scuola ci hanno farcito la testa. Dai suoi occhi malinconici e dal suo cervello ri-elaboratore, partivano impulsi di genio sfrenato che trovavano sfogo nella sua mano, la quale afferrata saldamente la matita, dava vita a robot sminuzza-insalata dal cuore di biscotto, a uomini pinguino, a bambini ostrica, a cagnolini frankenstainizzati e a re delle zucche in versione Babbo Natale (o Nachele). Volti di outsider involontari che vivevano male la loro condizione di emarginati nella quale il mondo provinciale li aveva relegati. Mondo che li privava della dignità di esseri umani e che li spingeva a compiere delle azioni per via di mancanze:

• La mancanza del padre, delle mani e dell’amore ( Edward, Edward mani di forbice)

• La mancanza di stimoli, di gratitudine e di una gran parte del Mondo dei vivi (Jack, Nightmare before Christmas)

• La mancanza della famiglia, del rispetto e del mondo della superficie (Pinguino, Batman il ritorno).

Invece gli outsider del Burton di oggi, sono fieri di essere diversi e sono loro stessi a volersi emarginare dal mondo “normale”, compatendo tutti quelli che preferiscono confondersi o nascondersi nel rassicurante quadretto di una vita stereotipata. Willy Wonka ad esempio decide da solo di isolarsi, disgustato dalla meschinità degli uomini biechi che vogliono rubargli le golose invenzioni e sostanzialmente da tutto quell’universo familiare al quale non sente di essere mai appartenuto. Un uomo inventa-dolci che paradossalmente non sopporta sdolcinate scenette d’amore né scambi di affettuose effusioni. Tutta l’amarezza che è dentro di lui viene compensata, in una sorta di seduta psicanalitica, da tutto il cioccolato che riesce a creare. Wonka non vuole avere contatti con l’ambiente che circonda la sua fabbrica, non vuole vedere cose non create da lui, belle o brutte che siano. È un esteta e come tale ha deciso di ricostruirsi un habitat da zero, stabilendo in prima persona con cosa deliziare i suoi occhi e il suo palato. Per via di questa segregazione volontaria, Willy è diventato di carnagione bianco/malaticcia, nonché fotosensibile e misofobico (sempre con i guanti e nauseato da qualsiasi contatto fisico). Questo cambiamento del diverso burtoniano, era già cominciato con Ed Wood, il regista sempre ottimista che, deriso dai “normali”, si era attorniato di persone emarginate come lui, ricreandosi un mondo filtrato dalla sua non talentuosa(?) sensibilità artistica; aveva proseguito attraverso l’ottenebrato poliziotto della scientifica Ichabod Crane (Sleepy Hollow), passando per l’universo alla rovescia de Il pianeta delle scimmie (finalmente è la normalità ad essere emarginata) ed arrivando allo straordinario personaggio Edward Bloom di Joycessiana memoria, vero alter ego di Tim Burton, capace di ricrearsi un mondo straordinario attraverso la propria immaginazione. È con Willy Wonka e con i personaggi dell’oltretomba de La sposa cadavere che però questa trasformazione dell’outsider giunge a compimento. In tutti loro non c’è alcuna voglia di integrarsi, anzi affermano sicuri di essersi creati un mondo nel quale tutti in fondo vorrebbero vivere. La realtà è grigia, livida, fredda, pungente e spietata; non c’è tempo per la solidarietà, per le canzoni, per i giochi e per gli scherzi. La fabbrica e il regno dei morti sono l’esatto contrario, colori alla Mario Bava, luci felliniane, suoni e allegria, rendono la vita nuova e inaspettata. In tutto questo, Charlie ha il ruolo del classico emarginato povero e affamato ma dal cuore d’oro e dal sorriso perennemente stampato sul viso. È l’Edward Bloom che crede nelle favole e nell’importanza dei sogni, tanto da riuscire a vincere l’intera fabbrica di cioccolato. Ma prima di questa inaspettata sorpresa, incontrerà sul suo cammino:

• Adulti corruttori in cerca del suo biglietto d’oro

• Insopportabili bambini viziati dall’animo demoniaco

• Un inquietante Willy che non vuole assolutamente la sua famiglia all’interno della fabbrica.

Saranno i nonni ad aiutare Charlie insegnandogli a non mollare mai e a seguire sempre i suoi desideri, anche a costo di dover rinunciare ai soldi, perché dopotutto "soltanto uno scemo si lascerebbe scappare un biglietto d’oro di cui esistono solo cinque copie in tutto il Mondo, per scambiarlo con dei comunissimi soldi". Il finale del film va letto molto attentamente perché, se da una parte è vero che Willy appiana le divergenze col padre e accetta la famiglia di Charlie dentro la sua fabbrica, dall’altra non c’è nessuna riappacificazione con l’esterno né alcuna fine dell’esilio. Sarà Charlie a lasciare il suo mondo (senza alcun rimpianto) per trasferirsi con casa e famiglia nelle cioccolatose meraviglie del signor Wonka e cominciare con tutti loro un novo esilio volontario. La Warholiana fabbrica di cioccolato ha vinto!

Ne La sposa cadavere l’esilio nel regno dei morti, inizialmente involontario, diventa volontario non appena si apprende che la vera vita comincia sepolti sotto terra. È tutto un trionfo di feste, di musica di cori e colori; il macabro e l’orrorifico serve ai morti soltanto per fare scherzi goliardici e per difendersi dai veri mostri, i vivi. Non tutti i vivi però sono della stessa pasta e Victor è un morto in terra (nella positiva accezione burtoniana), si sente un pesce fuor d’acqua in un posto tanto falso e subdolo come la Terra, sviluppando così un animo sensibile e candido che mette a tacere dietro un velo di timidezza e insicurezza. Quando si troverà nel regno dei morti, si sentirà finalmente libero e troverà il coraggio di togliersi la maschera. Soltanto l’amore, inaspettatamente incontrato nel mondo degli umani, lo spingerà a tornare, perché altrimenti per lui diventerebbe tutto grigio e cupo anche lì giù e rischierebbe di spezzare l’armonia di quel posto incantato. A Venezia, dove ha presentato fuori concorso La sposa cadavere, Tim Burton ha risposto così a due domande sull’argomento:

Nel suo cinema ritorna costantemente il mondo dei morti, è un modo per esorcizzarlo oppure crede realmente che sia un posto fantastico e pieno di colori?

Assolutamente non è un modo per esorcizzarlo. Bisogna avere paura di qualcosa per esorcizzarla, e io ho paura di molte cose ma non sicuramente di morire o meglio, non della morte. L’aldilà o il regno dei morti che dir si voglia io lo immagino come un posto dove tutti trovano la propria dimensione, visto che in quest’altro di mondo ci si ritrova casualmente, il che ha anche dei lati positivi grazie alle cose straordinarie appartenenti a questa Terra. Detto ciò, il mondo dei morti che porto io davanti la macchina da presa è un aldilà cinematografico, nato da tutti i film e da tutte le arti che ho conosciuto e amato in passato. È come se cercassi di collocare i miei idoli di gioventù nel posto in cui io ho sempre immaginato che abitassero.

La sposa cadavere prende spunto da una fiaba ebreo/russa, in che cosa l’ha trovata adatta alla sua sensibilità artistica quando vi si è imbattuto?

In tutto direi. La tradizione russa è piena di fiabe gotiche di questo genere. I Russi hanno un rispetto totale per i morti e questo mi ha affascinato molto. In più devo ammettere che mi intrigava poter riaprire un portale che unisse morti e vivi ancora una volta dopo Nightmare Before Christmas. C’è un qualcosa di magico nelle foreste oscure che mi ha sempre attratto, dietro ogni ramo, tronco o cespuglio sembra nascondersi un mistero che porticine segrete e anelli son pronti a svelare.

Il Mondo sta diventando sempre più cupo per questo maestro del dark, ma tra le squallide mura si intravedono barlumi di tinte pastello:

• L’amore

• L’affetto

• L’amicizia

valori che la nostra società dovrebbe ritrovare, spogliandosi di vestiti e gioielli di marca e guardando oltre il primo sguardo, oltre la superficialità e ritrovando la vera bellezza nel cuore di un aspetto mostruoso.


Enregistrer au format PDF