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Roma 2015 - Full contact

Pubblicato il 23 ottobre 2015 da Stefano Colagiovanni

VOTO:

Roma 2015 - Full contact

Ci sono guerre che si combattono imbracciando armi sul campo di battaglia. Altre decise dietro uno schermo, semplicemente premendo un bottone, sganciando missili come se piovesse. Altre ancora, terrificanti tanto quanto tutte le altre, combattute con se stessi, dentro se stessi, contro se stessi e le regole che non siamo in grado di trasgredire. Anche se a tutto c’è un limite e, il più delle volte, riuscire a valicarlo risulta più arduo e doloroso di ogni guerra immaginabile.

Full contact, diretto da David Verbeek, racconta una storia analoga. Quella di un soldato di nome Ivan (Grégoire Colin) di postazione in un minuscolo oculo operativo, addetto al lancio missilistico contro bersagli-terroristi da eliminare: quasi un operatore, un burattino a cui viene ordinato di pigiare un bottoncino rosso, come in un videogioco. Quando, però, si ritrova a dover radere al suolo un bunker, uccidendo un bambino innocente, la percezione del suo lavoro cambia radicalmente, mentre il dolore e il turbamento per quanto accaduto lo divorano fin quasi a consumarlo. Ivan è perduto e suo è il compito di salvare se stesso dalla depressione di cui è prigioniero…

Strutturato in piccole sezioni, come i capitoli di un romanzo, che si alternano non in modo didascalico, ma mediante cambi repentini di scenografia, Full contact rievoca senza mezzi termini la tragedia umana figlia della guerra, il desiderio di redenzione e la difficoltà nel riuscire a ottenerla. Sfruttando ogni espediente possibile: la fuga dalla realtà, inutile e scellerata; la ricerca del conforto tra le braccia e le gambe di una donna; infine, nello sport, violento e autolesionista, un balsamo color del sangue per lavare via i propri peccati, espiandoli con la sofferenza fisica (il full contact, per l’appunto, uno stile di combattimento corpo a corpo, utilizzato come espediente linguistico, quasi un gioco di parole, sfruttato come titolo per accomunare tale sport al “contatto” inteso come parola chiave per riportare ai supervisori l’avvenuto impatto del missile sganciato).

Nonostante l’utilizzo di una tematica parecchio abusata nella stragrande maggioranza dei film sulle brutture della guerra degli ultimi anni, David Verbeek prova a costruire un film complesso ed emotivamente coinvolgente, fissandosi su molteplici ed efficaci primi piani e campi lunghi, immortalando la tristezza pietrificata sul volto del soldato Ivan e la desolazione dei polverosi territori afghani; si fissa sui turbamenti dell’anima e sull’incertezza figlia di scelte non ponderate, sterili tentativi di dare un senso a ciò che ci resta da vivere, provando a cancellare il passato, semplicemente credendo che sia possibile farlo. Questo giustifica il senso di un’opera sì ambiziosa, ma spesso confusionaria sotto l’aspetto formale: Verbeek si lascia trasportare da una smania di grandezza, costantemente alla ricerca di lirismi eccentrici e non necessari, quando affidarsi solo alla sterilità dei paesaggi e concentrarsi sul dispiegamento della narrazione avrebbe alleggerito notevolmente la pellicola e reso più fluido il mutamento caratteriale del soldato Ivan.

Una necessità quella di strafare, di provare a scalare alte montagne con falcate acrobatiche, che finisce presto con lo stancare lo spettatore, sgretolando l’attenzione come argilla secca stretta in un pugno. Ne consegue il doppio finale, assolutamente inutile e privo di alcun significato, a testimonianza di quanto appena affermato. Ed è un peccato, perché Full contact deprime, anziché affascinare. Così Verbeek manca il bersaglio, ma stavolta non c’è motivo di esultare.


CAST & CREDITS

(Full contact); Regia: David Verbeek; sceneggiatura: David Verbeek; fotografia: Frank Van Den Eeden; montaggio: Sander Vos; musica: David Boulter; interpreti: Grégoire Colin, Lizzie brocheré, Slimani Daze; origine: Olanda, Croazia, 2015; durata: 105’;


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