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Roma 2016 - Lascia stare i santi

Pubblicato il 24 ottobre 2016 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Roma 2016 - Lascia stare i santi

“Scherza coi fanti e lascia stare i santi”: è il proverbio, ancor oggi in vigore, che recita il sagrestano di Sant’Andrea della Valle nella Tosca di Giacomo Puccini, a dimostrazione che già nell’Ottocento la venerazione per “gli amici invisibili” era una cosa da prendersi sul serio. Molto sul serio. I Santi sono persone come noi, che grazie a un evento speciale, consumato generalmente in un martirio, si sono avvicinati a Dio e si sono meritati quella “santità” che ce li rende amici da interpellare nei momenti di difficoltà e sconforto, senza scomodare direttamente Dio in persona. Che ci si creda o no, in Dio, è ai Santi e alla Madonna, prescelta come madre terrena di Cristo, che affettuosamente ci si rivolge per ottenere una grazia, un favore, un aiuto, certi di poter contare sulla loro natura più umana, dunque a noi più vicina. Attualmente, secondo Gianfranco Pannone, il pensiero laico sta attraversando un momento di crisi, e senza chiedersi quanto questo sia un bene o un male, l’autore di alcuni tra i più intelligenti e intensi documentari italiani di questo nuovo secolo ha deciso di perlustrare gli archivi dell’Istituto Luce Cinecittà alla ricerca delle testimonianze storiche delle feste popolari religiose che in lungo e in largo per tutta la nostra penisola, isole comprese, si svolgono regolarmente con cadenza annuale, coinvolgendo l’intero tessuto sociale di città, borghi, villaggi, dedicate al Santo o alla Santa del luogo. Momenti di emulsione sociale in cui tutti, indistintamente, dal più ricco al più povero, si abbracciano nello sforzo di riverire e festeggiare, con processioni, presepi viventi, macchine a traino, cortei, giostre, danze e spettacoli pirotecnici, San Rocco, San Cataldo, Sant’Agata, Santa Rosa, San Gennaro, Sant’Antonio, San Francesco, e l’intera schiera di Santi del calendario, che non si ha alcuna vergogna di considerare come amici dotati del superpotere di compiere, o almeno così ci si augura, quel “miracolo” necessario e imprescindibile perché la nostra vita prosegua serena il suo regolare cammino. In un’epoca neanche troppo lontana, quando erano vivi i nostri nonni e bisnonni, il “sacro” accompagnava la vita di tutti dal mattino fino a sera senza che nessuno osasse mettere in discussione l’utilità di rivolgersi a Santa Lucia o a San Zeno, allo scopo di ottenere una guarigione per sé o per un parente stretto, o di arrestare la minaccia di una colata lavica giunta al limitare della propria casa: un’età arcaica, contadina, la cui scomparsa Pier Paolo Pasolini aveva preconizzato in scritti e articoli rimasti celebri, che per quasi due secoli ha tenuto insieme un’anima popolare italiana fungendo da collante sociale e culturale, fortemente venato di superstizione, ma mantenendo vivo nelle frange meno acculturate della popolazione un senso di identità e di appartenenza a una comunità di viventi oggi, forse, sostituita dalla piattezza dell’informazione e dell’intrattenimento televisivo; anima che però, almeno una volta l’anno, all’appuntamento di piazza con la statua del Santo, si lascia invasare, possedere, sottoporre a prove durissime di sopportazione masochistica del dolore corporale, a volte addirittura fino all’isteria e alla perdita dei sensi. Per accumulo, la parata di materiali audiovisivi che Pannone ha messo insieme in libera sequenza non cronologica, alternando il bianco e nero dei documentari e dei cinegiornali d’epoca al colore delle più moderne videocamere amatoriali, produce via via un effetto di ipnotico incantamento, una sorta di mantra sospeso che ci trascina avanti e indietro in un tempo che, da italiani, riconosciamo come profondamente “nostro” (alzi la mano chi di noi non ha mai assistito in vita sua ad una manifestazione del genere, anche distrattamente, durante una vacanza estiva in una località marittima del meridione o in un paesino campestre dell’Italia centrale), e che ci risospinge fin dentro al cuore di una perduta genuinità (la pasoliniana “grazia italiana antica”), alle radici dei nostri sentimenti primari e più nobili, primo fra tutti l’amore per nostra madre, nostra porta d’ingresso in questo mondo, che ci separa da un inconosciuto cui per tutta la vita si tenta di dare un nome, una forma, sfidandone il mistero e auspicandone il conforto attraverso l’amicizia dei Santi, invocando la loro indulgenza, la loro soavità, la loro fragilità fortificata dal premio del martirio. E ci si fa noi stessi, credenti o meno, soggetti danzanti, cantanti, urlanti, storditi dal fragore dei cori, dei tamburi, dei fuochi d’artificio. Con il magistrale apporto di Ambrogio Sparagna, che ha riorganizzato il materiale sonoro antico e moderno in una ricreata varietà rutilante di ritmi e melopee di enorme suggestione, Pannone ci restituisce il senso di sacrale ritualità dell’eccezione costituita dalla festa del Santo, la pausa che interrompe la prosaica routine della nostra quotidianità, e ci costringe a fronteggiare la nostra paura del vuoto da cui proveniamo e nel quale molto probabilmente ritorneremo; rinfocola il nostro ancestrale bisogno di annullamento nella tribalità di una taranta, di immergerci nella tenerezza di una serenata alla Madonna, di affidarci all’abbraccio e allo sguardo vitreo e lacrimevole di una Santa dal seno trafitto. Non senza tenere saldamente vigile l’intelletto, corroborato da citazioni di Antonio Gramsci, Ignazio Silone, Vittorio De Seta, Rocco Scotellaro, Mario Soldati, Enzo Bianchi, e naturalmente Pasolini, affidate alle voci amiche di Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco, che si produce addirittura in una scatenata filastrocca canora in dialetto lombardo. Presentato nella sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma, Lascia stare i santi è esattamente questo: il riflesso della nostra italianità, raccontata dalla trasformazione antropologica dei volti, dei sorrisi, degli abiti, dei gesti di un popolo che per 75 minuti riconosciamo sullo schermo, riconoscendoci eredi di quella povertà e ricchezza, che è ancora e sempre la nostra povertà e la nostra ricchezza.


CAST & CREDITS

(Lascia stare i fanti); Regia: Gianfranco Pannone; sceneggiatura: Gianfranco Pannone; musica: Ambrogio Sparagna; interpreti: Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni (voci); produzione: Istituto Luce; distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia, 2016; durata: 75’


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