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Rotterdam 2009 - Be Calm and Count to Seven - VPRO Tiger Awards Competition

Pubblicato il 29 gennaio 2009 da Gaetano Maiorino


Rotterdam 2009 - Be Calm and Count to Seven - VPRO Tiger Awards Competition

Volere qualcosa a tutti i costi non vuol dire per forza riuscire a ottenerla. Il desiderio spesso si trasforma in frustrazione e lentamente il rimpianto si affaccia nell’animo di chi diventa adulto senza aver raggiunto la sua meta.
In un piccolo villaggio dell’Iran, nelle vicinanze di un porticciolo, un contrabbandiere di mezza età rifornisce gli abitanti dei cibo e beni di ogni tipo. Dentro di lui c’è il desiderio di ritrovare la donna che ama, la frustrazione per essere in contatto con lei solo per mezzo di un telefono, il rimpianto di non aver potuto darle ciò che avrebbe voluto. A incrociare la sua strada, arriva Motu, ragazzino quasi adolescente, che nutre una passione sfrenata per Ronaldinho e vuole diventare un calciatore professionista come lui. Ma il suo desiderio più grande, mascherato dietro il volto da bambino cresciuto in fretta, è quello di ritrovare suo padre, scomparso in mare alcuni giorni prima.
Con tutti i limiti che può avere un’opera prima, Be calm and count to seven, si fa apprezzare, soprattutto per la messa in scena, asciutta, lucida, ritmata da un montaggio attento ai ritmi della sceneggiatura. La travolgente sequenza iniziale in cui i contrabbandieri recuperano i pacchi con la loro refurtiva in mare e li trasportano a riva prima che giunga la polizia, è di grandissimo impatto e costruita in maniera perfetta. Le chiglie delle barche che graffiano sulla sabbia e sulle pietre della riva, sembra quasi grattino ogni volta un pezzo di innocenza dagli abitanti del paesino, costretti a vivere di questo espediente in quanto il mare, non più pescoso, non dà loro di che mangiare.
Il mare, grande nemico. Il mare che non dà più la vita. Il mare che porta via gli uomini. Chi solo si perde in mare vede dentro di esso un colore che nessun altro può vedere, un colore che non potrà mai più descrivere a nessun altro. Il confine geografico che l’oceano rappresenta per Motu è una barriera esistenziale. Il suo scontrarsi ripetutamente contro le onde (mentre contrabbanda sulle barche, mentre gioca sulla riva, e nel finale quando si mette alla ricerca di suo padre), è uno sbattere continuo contro un muro invalicabile e misterioso, che a tratti elargisce salvifica manna (le casse dei contrabbandieri che emergono dal fondo quasi fossero un frutto delle acque), ma che molto più spesso si rivela fonte di tragedia.
Perde un po’ di spessore man mano che avanza nella narrazione il film di Ramtin Lavafipour, perdendo di vista il fulcro della storia, che avanza a strattoni alternando le vicende di Motu e del contrabbandiere, accennando appena gli altri personaggi senza riuscire a dare loro un’identità, confondendo un po’ chi guarda. Forse in maniera troppo pretenziosa, il regista prova a inserire nella parabola esistenziale del ragazzino e del suo amico malvivente, una riflessione sulla povertà della popolazione Iraniana. I villaggi che si sgretolano, le strette vie che diventano man mano sempre più deserte, il progresso che avanza, ma tocca soltanto marginalmente questa categoria di reietti. Tentativo riuscito a metà di descrivere a margine delle storie personali, le difficoltà di un ceto sociale afflitto dal desiderio di essere altrove, frustrato dal continuo scontrarsi con le acque, colmo di rimpianto per una vita che non può prendere altro colore se non quello sconosciuto del mare.


CAST & CREDITS

(Aram bash vat a haft beshmar); Regia e sceneggiatura: Ramtin Lavafipour; fotografia: Reza Teymouri; montaggio: Ramtin Lavafipour; musica: Daroush Namdar Zangeneh; interpreti: Hedayat Hashemi, Omid Abdollahi (Motu); produzione: Aftab e Horan Afarin; origine: Iran, 2008; durata: 89’.


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