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San Donato Beach - Italiana.doc

Pubblicato il 22 novembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

San Donato Beach - Italiana.doc

Ve la ricordate quella vecchia signora dai fianchi un po’ molli, quella Parigi provinciale minore incastonata fra colli, case e osterie? Ve lo ricordate quel centro in cui non si perde neanche un bambino, quei portici su cui s’ergono case sbilenche dalle gambe spezzate? Ve li ricordate i bar di quartiere, le nottate vagabonde, la voglia di fuggire armati soltanto di zaino, sacco a pelo e cinquemila lire? Ve la ricordate la Bologna stregata e un po’ maleodorante di Guccini, Dalla, Bersani? Bene, ora dimenticatevela. Quasi facendo il verso all’immaginario malinconico e ormai vagamente ridondante che s’accampa e s’espande fra Via Indipendenza e Piazza Maggiore, Fabio Donatini ci accompagna all’interno di un universo suburbano e parallelo a cui ben pochi sono abituati. Autoctono per professione e forse per amore, lo sguardo del regista affonda nelle strade desolate di una città quasi anonima, irriconoscibile, in poche parole reale.

San Donato Beach mostra la lingua alle fantasie fintamente popolari che pretendono di levare gli occhi sempre sulle stesse istantanee: dove sono, fra l’afa estiva e l’assordante grido delle cicale, i musicisti di strada e i giovani stropicciati a cui siamo tanto legati? Dove sono le vie medievali, gli appartamenti studenteschi abbandonati alla loro entropia, ma soprattutto dov’è finito quel rossastro emiliano che tinge i muri degli edifici? Dimenticatevi tutto: queste sono le storie di Reza, Andrea, Patrizia, Armando, Elem, Stefania. La cinepresa fotografa la quotidianità di un inusuale mazzo di carte dai bordi usurati, ricostruendo una Bologna sgradevolissima alla vista e ai sogni puerili dello spettatore medio. La voce di chi si nasconde dietro all’obbiettivo quasi non si sente, nessuno sembra avere bisogno di un intermediario per interfacciarsi con una routine fin troppo spesso confinata dietro le quinte del mondo. Ogni esistenza si muove sull’onda della propria colonna sonora: Così il fumo di una sigaretta accarezza il viso di Reza, mentre Andrea affoga la solitudine nell’apatico rituale delle slot machines. Patrizia ricorda i vecchi fasti di un’Italia ormai decadente e reclina su sé stessa, e nel frattempo il mondo gira nello spazio senza fine. E se lo zio Elem mette prima di tutto le belle donne, negli occhi vispi di Stefania si leggono segreti ben più dolorosi di quanto l’aspetto pressoché ingenuo e irrequieto della donna non possa già suggerire.

Accolta fra gli applausi scroscianti dei vecchi Sanremo e delle trasmissioni domenicali da ascoltare in famiglia, l’antica Bologna prende congedo: Patty Pravo, Iva Zanicchi, Nuccio Costa si susseguono in una sinfonia paesana regolarmente interrotta da continui tagli e silenzi ingombranti. Lo straniamento provato è comparabile all’emarginazione dei nostri protagonisti, che (per fortuna) non hanno niente di felliniano: nel documentario di Donatini non c’è traccia di romanticismo, l’Emilia sacra di un tempo (se mai è davvero esistita) si dilegua con le sue biciclette e le sue vespe, mentre l’eco delle radio accese nei bar riporta alla mente fotografie provenienti da un’altra dimensione. San Donato, in fondo, è ovunque: lo sa Reza, di origini iraniane e tuttavia perfettamente in linea con uno spirito e un’emotività che si credono tutte bolognesi, ma che in realtà appartengono ad un comune sentire. Si parla di isolamento, di depressione, di dipendenze, ma sempre con una rassegnazione e con una tolleranza a tratti perfino grottesche: lo sa Stefania, nel suo bel vestitino a pois, seduta immobile fra i parchi assolati e le fermate degli autobus. Ognuno è destinato a rimanere prigioniero di un oblio tanto sociale quanto culturale: lo sa Armando, immortalato in lacrime e con un gesso al braccio destro, invisibile agli occhi di chi cerca Via Indipendenza e ha solo sbagliato percorso. Alla parlata dialettale di Patrizia si sostituisce quella forse ancora più familiare di Elem, così come all’Italia popolare e canora sprigionatasi dai portici del centro si sovrappongono voci solo apparentemente lontane. Giunti al termine di un’ennesima, squallida estate non ci rimane che tornare nella Parigi provinciale minore: ma chissà che, vagando fra le care e materne vie medievali, non ci ritorni in mente qualche volto di troppo – pronto a riportarci, per un breve istante, alla realtà.


CAST & CREDITS

San Donato Beach - Regia: Fabio Donatini; sceneggiatura: Fabio Donatini, Antonello Grassi; fotografia: Ebraheemi Shappour; montaggio: Nicola Spaccucci; interpreti: Reza Salimi Balani, Andrea Pederzoli, Patrizia Ragalmuto, Armando Carotenuto, Elem Emin, Stefania Cubiciotti; produzione: Zarathustra Film; origine: Italia 2020; durata: 80’.


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