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San Giovanni: L’apocalisse

Pubblicato il 27 dicembre 2002 da Alessandro Izzi


San Giovanni: L'apocalisse

Confessiamo che le aspettative non erano, già quando ci giunsero notizie della messa in produzione di una fiction televisiva dedicata all’ultimo e più enigmatico capitolo del Nuovo Testamento, delle più rosee. Del resto, il regista, tale Raffaele Mertes, aveva già abbondantemente rovinato, con il suo stile piatto di regia (che come da manuale delle fiction italiche si riduce, dal punto di vista stilistico, in una fiacca successione di campi e controcampi) alcuni dei racconti biblici di questa serie che, pure, aveva esordito sotto l’egida di un autore del calibro di Ermanno Olmi (le mitiche immagini di Genesi). Ed è da dire che, ancor prima di poter vedere il risultato finale su piccolo schermo di questa malsana operazione, (seguendo le propensioni di una ben misera attitudine critica che ammettiamo non senza una sostanziale punta di vergogna, dal momento che ogni critico che si accosti ad un’opera deve, nei limiti del possibile, mantenersi il più possibile obiettivo ed esente da pregiudizi), una stroncatura fremeva già sulla punta delle dita. “Come si può” ci chiedevamo “pensare di assegnare una delle pagine letterarie più enigmatiche e poetiche della storia dell’umanità ad un regista ben noto per la totale assenza, nelle sue corde espressive, del benché minimo talento visionario? Come è possibile pensare che un regista, sin qui noto per la banalizzazione dei testi sacri su cui si è cimentato (nel racconto su Maria Maddalena era stato capace di tenere lontano mille miglia dal suo racconto anche solo l’odore di parole come Grazia e Perdono) e conosciuto ai più per le banali barzellette impaginate sui carabinieri nella triste serie Carabinieri (con la Arcuri), possa accostarsi a pagine così alte da aver prodotto fiumi e fiumi d’inchiostro, sprecati nel vano tentativo di avvicinarsi anche solo di poco alla loro comprensione intellettuale?” Ebbene, ora che abbiamo avuto la possibilità di ammirare il risultato finale di questa operazione men che commerciale, possiamo dire, senza tema di eccessive smentite, che, per una volta, le nostre maggiori paure, si sono rivelate più che fondate e che il film, che è passato sotto i nostri occhi attoniti, si è rivelato ben al di sotto delle nostre pur bassissime aspettative. Certo non possiamo non rimarcare, sia pur brevemente, il coraggio quasi temerario di pensare e produrre, nell’asfittico mondo della fiction nostrana, un film per la televisione quasi completamente centrato sul dispendio degli effetti speciali. Dal momento che le nostre reti televisive si sentono sicure, a livello produttivo, solo quando investono soldi per reality show costosissimi, ma dall’apparenza dimessa (come Il Grande Fratello o Saranno famosi), una scelta di investimento sugli effetti digitali (un po’ artigianali, ma, comunque, abbastanza efficaci) non può non essere salutata con una certa gratitudine. E però, esaurito il piacere per la novità relativa (del resto sembrerebbe non si possa comunque concepire alcun tipo di racconto biblico senza ricorrere all’industria degli effetti speciali a meno che non si sia Dreyer o Bresson), resta poi, cocente, la delusione nel vedere come mal spesi siano stati quei soldi. Le scene delle visioni mistiche di San Giovanni sono, alla fine, chiassose e barocche, ammiccano, in certi punti, ad un immaginario tipicamente fantasy (filtrato secondo un modello iconografico che conserva ancora il sapore atroce e terrorizzante di certo immaginario medioevale) che trova una strana assonanza con i migliori risultati cinematografici degli scorsi anni. Ma le visioni sono, soprattutto, una ben misera trasposizione visiva di pagine di altissima poesia che già da sole hanno, sulla carta e tra le parole, un’altissima carica visuale. Il regista, insomma, appoggiandosi a studi filologici e di esegesi critica della Bibbia, si limita a tradurre in immagini delle immagini aggiungendo qua e là, con l’ausilio o di voci fuori campo o di piatti dialoghi tra il santo e i personaggi delle sue stesse visioni, semplicistiche e quasi pa(rro)cchiane chiavi di lettura per quelle stesse immagini. Ma peggio le cose vanno, quando, abbandonati i lidi delle visioni del santo ci si addentra, secondo una propensione ben sperimentata da Barnabei (produttore a anima di tutta la serie) nel contesto storico in cui il racconto della rivelazione ha avuto luogo. Storicamente accurate, le descrizioni degli ambienti, si fanno posticce quando compaiono sulla scena attori palesemente troppo americani per risultare credibili come antichi romani. E il tutto diviene decisamente indigeribile quando compare la figura di un imperatore romano (Domiziano) che si muove, boccheggia e, torvamente, procura disastri con una serie di sguardi allucinatati che sembrano tratti dal peggior film sui serial killer. La sua figura appare così pesantemente caricata (Anthony Hopkins non è riuscito a fare di peggio nella sua pessima interpretazione in Hannibal di Ridley Scott) che si resta letteralmente senza parole, mentre, nella mente, ci attraverso il pensiero che, certo è smania di onnipotenza quella che guida un uomo a deificarsi, ma essa non nasconde anche una certa consapevolezza politica. Possibile che tutti gli antichi romani altro non fossero che debosciati maniaci (se nobili) o leali combattenti pronti a ricevere la rivelazione cristiana (se soldati)? Su scenari pastello, con cieli blu che mimano i colori degli affreschi contemporanei alla vicenda, si consumano quadrucci assolutamente improponibili. E a noi non resta che chiederci, tra uno sbadiglio e l’altro, cosa ci faccia, proprio nel profondo della provincia romana, il nostro caro Fantozzi a strabuzzar gli occhi di fronte alle vittime dei gendarmi romani mentre le sue espressioni vengono montate in parallelo con le più cupe immagini dell’Apocalisse. Un film, in ultimo, in cui tutto viene detto, a chiare lettere, ma in cui niente è mai realmente sentito.

(San Giovanni: L’Apocalisse); Regia: Raffaele Mertes; Sceneggiatura: GianMario Padano, Raffaele Mertes, Francesco Contaldo; Fotografia: Giovanni Galasso; Montaggio: Elisabetta Marchetti; Musica: Marco Frisina; Interpreti: Richard Harris, Vittoria Belvedere, Benjamin Sadler, Christian Kohlund, Walter Nudo, Paolo Villaggio; Produzione: Luca Bernabei

Data trasmissione: martedì 10 dicembre 2002 (ore 20:55)

[dicembre 2002]


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