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Schermi d’amore 2008 - The Tiger’s Tail

Pubblicato il 18 aprile 2008 da Fabiana Proietti


Schermi d'amore 2008 - The Tiger's Tail

A tre anni di distanza dal suo ultimo film girato in Sud Africa, In my country, John Boorman torna in Irlanda per ambientarvi The tiger’s tail, thriller esistenzialista che intreccia abilmente contesto sociale e politico a riflessioni filosofiche da sempre parte del suo percorso artistico.
Ossessione squisitamente d’autore, il conflitto insanabile tra natura e cultura, tra istintualità animalesca e civilizzazione, indagato dal cineasta sin dai tempi di Un tranquillo week end di paura, si insinua in The tiger’s tail sotto le spoglie del doppio, del sosia che irrompe all’improvviso nell’esistenza agiata del protagonista, Liam O’Leary, rivelando la natura duale dell’animo umano, le sue zone di luce e ombra.
Il regista costruisce il suo racconto sulla figura chiave del perturbante, il doppio, recuperandola direttamente dalla letteratura gotica mitteleuropea degli Hoffmann e degli Chamisso, (reinventata poi al cinema dall’Espressionismo tedesco) per farne al tempo stesso un’allegoria politica e sociale.
Boorman infatti non è Lynch, e per quanto abbia spesso camminato lungo i sentieri del fantasy, toglie subito ogni dubbio di tipo sovrannaturale all’esperienza allucinatoria vissuta dal suo protagonista: il volto identico al proprio che appare a Liam sul parabrezza dell’auto e che comincerà a perseguitarlo sino a derubarlo della sua identità non è una proiezione della sua mente ma soltanto il gemello a lui sconosciuto – e qui, di nuovo, ci confrontiamo con un rapporto fraterno speculare, inevitabilmente affidato a un unico interprete - che viene a innescare un meccanismo perverso di alternative perdute o scartate, di un destino non vissuto ma comunque presente tra le variabili possibili dell’esistenza. Fino a rimettere in discussione la propria identità, la propria unicità, se è soltanto l’involucro fisico ad attestarla.
Come ne La moustache di Emmanuel Carrère, dove un paio di baffi tagliati – o mai avuti? – attivavano nel protagonista una serie di infinite paranoie sulla tangibile esperienza dell’esserci, attestabile soltanto nell’auto-riflesso o nella conferma altrui, anche in The tiger’s tail la visione di un doppio manda in frantumi l’unità del soggetto e dell’idea di sé come essere unico che il protagonista ha, confermata dalla solidità di una posizione sociale vantaggiosa e dall’aspetto fisico, nelle fattezze massicce e rassicuranti di Brendan Gleeson.
Eppure basta un volto perché ogni certezza vacilli, perché tutto appaia improvvisamente ignoto e sconosciuto – la stessa famiglia, una sorella che si scopre madre o una moglie che preferisce il nuovo Io – mentre il regista si muove a metà tra inquietudini orrorifiche (quanto horror americano ha imbastito le sue fortune sul sentimento del perturbante?) e romanzo d’avventura, con questi gemelli divisi dal caso tra ricchezza e povertà che non possono non ricordare Il principe e il povero di Twain.

Il doppio di Boorman è di certo un riflesso capovolto del mito capitalista e recupera in fretta il maltolto, opera una rivolta di classe sul fratello ricco, razziandone contanti e gioielli, ma la vera rivoluzione portata dal sosia si innesta sulla più profonda indole umana, sui desideri inespressi, sulla liberazione di pulsioni sessuali e violente che Liam è troppo civilizzato, troppo assorbito nel sistema, per far venire alla luce.
Il film viene allora a intrecciarsi profondamente con quelle ossessioni d’autore di cui sopra, e la parabola di Liam si riallaccia a quella dei cittadini in cerca di avventure di Deliverance, che privati dei loro riferimenti socioculturali e messi a confronto con una natura ostile e selvaggia, vivono il risveglio dell’istinto primitivo che giace sotto l’uomo civilizzato, così come in The tiger’s tail la tigre è sì la ‘tigre celtica’ del rilancio economico irlandese, ma anche il lato selvaggio dell’essere umano.
Ma è questa stessa natura, per madre o matrigna che sia, a porsi infine come unica via di fuga da una società folle che trova la sua efficace descrizione nell’ospedale psichiatrico, con un rovesciamento di prospettiva che fa pensare al sogno del pazzo di Caligari. Del resto, l’intero racconto è disseminato di riferimenti ai chiaroscuri soprattutto ideologici dell’Espressionismo, giocato com’è su opposizioni dicotomiche fondate sulla supremazia dell’immagine sul dialogo (mai davvero indispensabile) e assecondate dall’uso di un montaggio alternato di stampo griffithiano che non frammenta mai l’azione ma ne scandisce le tappe, conferendole insieme l’ampio respiro del cinema classico.
Agli ingorghi infernali di Dublino Boorman preferisce le onde del mare, sulla cui immagine ci lascia, e il tempo circolare di un eterno ritorno a quello lineare della Storia, dello sviluppo. Perché con la sfida a braccio di ferro finita in parità tra Liam e il suo gemello-doppio-sosia, che incarnano – imprenditore e proletario – gli spettri di capitalismo e comunismo, il film non fa altro che confermare a più riprese il fallimento di entrambi e la necessità di una ‘rifondazione’ su altre basi.


CAST & CREDITS

(The tiger’s tail); Regia e sceneggiatura: John Boorman; fotografia: Seamus Deasy; montaggio: Ron Davis; interpreti: Brendan Gleeson (Liam O’Leary) Kim Cattrall (Jane O’Leary) Sinead Cusack (Oona) Ciaràn Hinds (padre Andy) Briain Gleeson (Connor O’Leary); musiche: Stephen McKeon; produzione: Merlin Films, Fern Gully Tales; origine: Irlanda 2007; durata: 107’


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