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SHOPGIRL

Pubblicato il 1 gennaio 2002 da Adriano Filippucci


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A un anno di distanza dalla sua uscita negli Stati Uniti, vede la luce l’edizione italiana dell’opera prima narrativa di Steve Martin, il noto attore comico non del tutto apprezzato in Italia. A meno di non essere fan accaniti del canuto protagonista dell’imminente Novocaine (id.), non si può non rimanere sorpresi da questo esordio, se tale si può chiamare. Sì, perché in realtà Steve Martin da qualche anno pubblica regolarmente per il prestigioso settimanale letterario "The New Yorker" e per "The New York Times". Da una costa - quella ovest - per il cinema all’altra - quella est - per quella che lui stesso definisce una passione segreta, come un viaggio a ritroso per tirare fuori quella solitudine tipica di una pratica qual è quella dello scrivere, sempre guardando alle parole di questo semi novello prosatore. E anche il risultato stupisce, sorprende.

Shopgirl si presenta come un’opera narrativa tutt’altro che sorella della comicità del suo autore in altre vesti. Mirabelle, la commessa protagonista del titolo,è una fragile, timidissima, carina e sola ragazza addetta al reparto guanti di un grande magazzino di Los Angeles. Il personaggio viene introdotto con la semplicità ma l’efficacia di un attento e invisibile osservatore di una quotidianità fatta di piccoli e apparentemente insignificanti gesti e avvenimenti che hanno il pregio di svelarci il personaggio poco a poco rendendocelo familiare e oggetto della nostra simpatia. Mirabelle diventa ben presto la beniamina del lettore che viene coinvolto nella sua solitudine, nelle sue delusioni, speranze e illusioni, ma anche, e soprattutto, nel ripetitivo succedersi di giorni uno uguale all’altro. Poi un casuale incontro, poi un invito galante, poi solo delusione che affoga nella depressione più nera che la costringe a dover cambiare psicofarmaci. Infine una parziale ripresa dovuta a un’inaspettata quanto benvenuta forza interiore che né Mirabelle né il lettore si sarebbero aspettati. Non un happy-ending, ma una piccola vittoria che regala un po’ di tranquillità e di accettazione serena della realtà senza tema di illudersi ancora.

Quello che sorprende maggiormente di Shopgirl, oltre a una capacità di coinvolgimento che non ci si aspetta, è che pur raccontando delle vicende di una persona come tante, in realtà attraverso i personaggi che Mirabelle incontra, trapela dalle pagine un’indagine attenta e puntuale, talvolta ironica, della varietà dei caratteri e rapporti umani con cui, bene o male, ognuno di noi ha o ha avuto a che fare e che ci hanno fatto diventare quello che siamo. In una dei tanti e brevissimi frammenti (di vita) di Shopgirl intitolato "La Conversazione" - con la C maiuscola - dove Mirabelle e l’uomo galante e facoltoso con cui si vede parlano, troviamo "Ed ecco conclusa la Conversazione. Quello che nessuno dei due capisce è che queste conversazioni sono prive di significato, sia per chi parla sia per chi ascolta. Chi parla crede che le sue parole siano state ascoltate, chi ascolta crede che non siano state pronunciate. Nessuno mai - uomo, donna, cane o gatto - vuole sentirle". Non ascoltiamo più, eppure le parole sono importanti.

(Gennaio 2002)

Giulio Einaudi editore, 2001, pp. 142, € 9.00


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