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Six Degrees – Sei gradi di separazione

Pubblicato il 20 maggio 2007 da Marco Di Cesare


Six Degrees – Sei gradi di separazione

Carlos è un giovane avvocato d’ufficio che, dopo due sfiancanti anni di praticantato, grazie all’inganno ottiene un caso importante e difficile. Mae è una ragazza dal passato oscuro, da cui sembra voler fuggire, e da un altro passato che vuole ritrovare. Whitney è una donna in carriera, manager in un’importante agenzia pubblicitaria. Damian è un rispettabile autista di limousine, giocatore incallito incorso in problemi con la giustizia. Steven è un artista, un fotografo dai trascorsi importanti, che ora tenta di risalire la china dopo avere attraversato una crisi, accompagnata dalla fedele amicizia di una bottiglia. Mentre Laura è rimasta da sola con la sua bambina, da poco tempo lasciata dal marito, un reporter ucciso in Iraq.
Tre donne, tre uomini: il sei come numero doppiamente perfetto. Sei gradi di separazione: la teoria sociologica secondo cui «Ognuno di noi può essere collegato a chiunque altro, attraverso una catena di sei persone. Nessuno resta estraneo, a lungo»: neanche a New York, città da otto milioni di abitanti e cosmopolita moderna Babele.
Six Degrees (in onda la domenica in prima serata su ‘Fox Life’, canale 111 dell’offerta Sky, e in replica la domenica notte) è una creatura figlia di J. J. Abrams, l’assai rispettabile artefice di quella pietra miliare del piccolo schermo che tutti conosciamo col nome di Lost (vedi, in proposito, gli articoli di Alessandro Izzi e Giampiero Francesca). Il giovane Abrams, inoltre, nel 1993 fece una comparsata in Sei gradi di separazione, geniale e triste commedia satirica sul malessere causato dal non poter essere diversi da quello che si è - ovvero ciò che si è sempre stati - oltre che corrosiva e dolente caricatura dell’ipocrita benevolenza della liberal upper class che gravita attorno a Central Park.
E Six Degrees sembra ispirarsi ai due capolavori appena citati. New York è un’isola sperduta nel nulla (ossia il passato dei protagonisti, che mai ci viene mostrato), un organismo vivente – e quindi totalmente naturale, pur nella sua artificialità - che attrae a sé molti naufraghi, luogo di speranza per chi è alla ricerca di sé stesso, microcosmo che è il posto giusto per ognuno, «Dove puoi cambiare identità quando vuoi». Come se il passato fosse un pesante e inutile fardello del quale liberarsi per poter crescere e guardare al futuro. E mutare il proprio Io significa intraprendere un percorso di crescita, aperto a ogni personaggio, sia che abbia venticinque anni, sia che ne abbia quaranta: perché essere significa poter scegliere di cambiare. Vite diverse legate dalla Teoria del Caos - più che dal Caso - e, quindi, più vicine di quanto possano credere, perché tutte partecipi e ognuna emblema di un Tutto che si esprime attraverso la particolarità di ogni singolo individuo. Six Degrees, però, non vuole corrodere, né tantomeno agire con triste malinconia, perché rappresenta una Speranza nella Comunanza.
In sintesi: un Esistenzialismo, ma in cui l’angoscia è talmente flebile da non entrare in gioco.
Pagato lo scotto del primo episodio, nel quale fin troppo meccanicamente ci vengono presentati i personaggi e il lineare collegarsi delle loro vicende, Six Degrees si rivela come una serie assai interessante, nella quale con cura ci viene mostrata un’attenzione per i destini umani, come poche altre volte ci è stato offerto. E tutto, puntata dopo puntata (siamo già giunti alla terza, su un totale di quattordici), acquisisce una maggiore fluidità: prova ne è l’ingresso in scena dei personaggi, che risulta essere particolarmente discreto e mai invadente, così come non è mai invasivo neanche l’occhio dello videocamera, nonostante la sua onniscienza. Perché tutto avviene in nome di una calma e di una levità che per nulla cozzano contro la frenetica confusione della Grande Mela tentatrice.


(Six Degrees) Regia e sceneggiatura: AA.VV.; soggetto: Stuart Zickerman e Raven Metzner; fotografia:John Thomas; montaggio: Tanya Swerling; musica: Michael Giacchino, Adam Cohen; interpreti: Jay Hernandez (Carlos), Bridget Moynahan (Whitney), Erika Christensen (Mae), Dorian Missick (Damian), Campbell Scott (Steven Caseman), Hope Davis (Laura); produzione: Bad Robot, Nosebleed Productions e Touchstone Television; distribuzione: Buena Vista International Television; origine: U.S.A. 2006; durata: 14 episodi da 40’ l’uno; web info: minisito Sky.


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