X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Speciale Brit Tv - God Save the BBC (2a parte)

Pubblicato il 5 agosto 2009 da Lorenzo Vincenti


Speciale Brit Tv - God Save the BBC (2a parte)

Prodotto per intero dalla BBC, Moses Jones, il lavoro ideato da Michael Offer, è legato virtualmente a The Londoners dall’humus etnico che lo caratterizza. Anche in questo caso infatti si percepiscono i risultati non sempre piacevoli di una immigrazione secolare e si respira il disagio di una integrazione difficoltosa. Ma se nella serie polacca il tutto trovava sfogo in un indagine della personalità umana, in un racconto intimo e raffinato teso a scandagliare situazioni sociali mutevoli, con Moses Jones il riferimento etnico e il tema dell’immigrazione fanno da sfondo ai ritmi e ai meccanismi del genere puro.
Il poliziesco messo in scena sfrutta le tinte forti del noir e racconta le piaghe di una comunità stravolta da un’improvvisa ondata di terrore. A rincorrere la verità ci pensa colui che dà il titolo alla miniserie. Un detective particolare e spigoloso, i cui modi tenteranno durante le tre puntate di riannodare i fili di una vicenda oscura. Forte di una scrittura eccezionale, Moses Jones colpisce per la sintesi estrema con cui racconta la vicenda e per lo spessore dei suoi personaggi, nonché per un impianto visivo di forte impatto basato principalmente su una fotografia sgranata (tesa ad evidenziare la notte dei bassifondi londinesi) e un montaggio parallelo molto suggestivo. Il movimento stentoreo di Jones tra i vicoli del proprio quartiere diviene poi l’emblema di questo piccolo gioiello narrativo e figurativo, che preferisce indagare tra la sporcizia di una società malsana e che all’ambientazione claustrofobica e politically correct degli uffici importanti, dei luoghi del potere, dei quartieri imbellettati, predilige la sporcizia della strada, il punto di vista dal basso e la condizione precaria di personaggi borderline.

Tutto il contrario di Law & Order Uk, per esempio, altra importante novità in onda attualmente in Gran Bretagna, la cui struttura si poggia sull’essenza più pura del legal-poliziesco. Quella per intenderci che bada alla rigidità degli schemi utilizzati e che invece di indugiare nei territori cari a Moses Jones, si rinchiude in quei luoghi istituzionali a cui il brand statunitense creato da Dick Wolfe ci ha ormai abituato, per uscire solo nell’istante in cui un crimine interviene a squarciare la dimensione apparentemente conciliante dello sfondo metropolitano. Il prodotto d’importazione presentato a Roma non si discosta molto in realtà dagli schemi dei classici procedurali e, nonostante si senta in esso il peso dell’abusato meccanismo di un format che perdura da più di vent’anni sotto forme e nomi differenti, il restyling londinese rivela in realtà degli spunti interessanti e dei tentativi di innovazione rispetto al recente passato.
Il procedimento è sempre lo stesso (poliziotti e pubblici ministeri che cercano di risolvere i singoli casi di puntata) ma le storie appaiono molto più avvincenti, costruite con una attenzione ai particolari impressionante. Ciò che colpisce maggiormente è però l’aderenza di un prodotto di genere come questo alla cultura di una nazione intera. Riferimenti continui allo spirito british e allo stile di vita inglese costituiscono il leit motiv di una serie per il resto molto classica e consuetudinaria, basata cioè su quei rigidi schemi riconoscibili che contraddistinguono un prodotto certamente non rivoluzionario ma comunque degno d’attenzione.

Rivoluzionario, per certi versi, risulta invece un altra serie inglese presentata a Roma. Stiamo parlando di Survivors, il remake in sei parti della serie post apocalittica ideata da Terry Nation negli anni ’70 e ricreata dopo poco più di trenta anni dalla onnipresente BBC. Egualmente incentrata sulla diffusione di un virus letale che distrugge la quasi totalità della popolazione mondiale, l’efficacia di questa nuova versione firmata da Adrian Hodges, si basa sulla mescolanza tra l’influenza del prodotto originale e gli esempi del genere nel frattempo realizzati al cinema. Il visual style soprattutto sembra risentire della decadenza di 28 giorni dopo o I figli degli uomini, anch’esse opere ambientate in una Inghilterra lacerata da improvvise catastrofi sul cui territorio si muovono personaggi destinati a sopravvivere e a lottare contro le piaghe di una società allo sbando, dilaniata da un’anarchia dilagante.
Survivors rappresenta, tra le serie sinora analizzate, la novità forse più bella dal punto di vista stilistico, quella con il maggior carico di fascino e il numero più elevato di elementi d’attrazione. Impeccabile nell’impianto visivo, essa regala una storia degna della sala cinematografica, in cui continue suggestioni costruiscono quel respiro internazionale al quale l’opera aspira e che pochi prodotti televisivi sono in grado di raggiungere realmente. Se da un lato l’elevato livello d’esportabilità garantisce un sicuro successo internazionale alla serie, dall’altro però esso impedisce allo stile e alla cultura british tipici del prodotto originale di emergere nella rivisitazione odierna. Una puntualizzazione di poco conto tuttavia che, se non fosse affiancata da un eccesso di autocompiacimento nella messa in scena, ci avrebbe tranquillamente consentito di definire Survivors un lavoro ai limiti della perfezione.

Non potevamo concludere questo nostro viaggio senza fare riferimento alla proverbiale comicità surreale alimentata da un certo tipo di tv britannica. Quella per intenderci che ha dato i natali al delirio dei Monty Python e che dalle sue origini ha dettato le regole di un nonsense ormai ampiamente riconducibile allo spirito comico britannico. Fatto di gag stranianti, corrosive al punto giusto e fortemente ironiche, il sense of humour inglese è stato in grado di fornire nel recente passato un affresco satirico e sgraziato come Little Britain, un cult per gli appassionati del genere, la cui comicità ha influito non poco sulle due novità più coraggiose ed esplosive dell’ultima generazione. Stiamo parlando di The Wrong Door e Psychoville, due commedie presentate al RFF 09 che hanno sconvolto per l’originalità degli schemi e per il livello di impertinenza raggiunto nel tentativo di mettere alla berlina i luoghi comuni tipici dell’Inghilterra e del suo popolo.

Se per la prima comedy sketch rimandiamo all’articolo scritto proprio in occasione del RFF 09, alla seconda serie comica macchiata dalle caratteristiche del thriller dedichiamo invece l’epilogo di questo nostro viaggio. Lo facciamo sottolineando l’incredibile genialità con cui gli autori hanno costruito il mondo surreale di Psychoville, un mondo a tratti anche onirico in cui prendono forma le vicende di bizzarri personaggi (freaks senza gloria, fenomeni da baraccone, criminali da strapazzo), diversi tra loro ma accomunati da un indecifrabile quanto stravagante filo conduttore narrativo. Sullo sfondo di un misterioso intrigo si consuma così la parodia della tradizione britannica che fa a cazzotti con l’evoluzione, immancabile componente di un umorismo costruito sulla insensata comunione di eventi incredibili, sulla rappresentazione di figure inverosimili (sempre truccate o mascherate come la tradizione vuole) e sulla efficace comunione di momenti demenziali, volgari e molto scorretti politicamente.
Per questo Psychoville, così come The Wrong Door, faticherebbe a trovare spazio nei nostri palinsesti più importanti (troppa è la distanza tra il nostro umorismo e quello anglosassone, ma soprattutto troppa è la ritrosia delle tv "ufficiali" italiane ad aprire la strada a nuovi format e nuovi linguaggi). Al contrario di quegli spazi di nicchia che invece saprebbero valorizzare, come già hanno dimostrato, prodotti alternativi di questo tipo e che, ad essere sinceri, permetterebbero alla nostra visione di distanziarsi periodicamente dal torpore provocato da tante altre frequenze nostrane.

Per una volta possiamo gridare con forza ciò che il titolo ha già profeticamente anticipato… Dio salvi gli inglesi se tale è il risultato del loro impegno televisivo!


Enregistrer au format PDF