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Venezia 77 - Wife of a spy

Pubblicato il 11 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Wife of a spy

Le disturbanti costellazioni di Kiyoshi Kurosawa, maestro del genere J-Horror, si spostano nella Kobe dei primi anni ’40. Già nel 2008, il regista giapponese aveva dimostrato di sapere il fatto suo: Tokyo Sonata trasferisce l’immaginario fantasmagorico e surreale dell’autore all’interno di una realtà apparentemente ordinaria. In un simile universo, la vita umana non fa altro che ripercorrere la linea della morte: è ciò che accade anche in Wife o a spy, sospeso fra melodramma americano e "ghost story" di tradizione più marcatamente nipponica.

I coniugi Satoko e Yusaku Fukuhara (nell’ordine, Yū Aoi e Issei Takahashi) coltivano una quotidianità del tutto occidentale: in un Paese sull’orlo della guerra, una scelta del genere può essere considerata un atto di dissidenza, così come un meccanismo di protezione. Come avviene anche in Kairo, a lasciare il segno nella mente dello spettatore è ciò che del racconto viene celato, o quantomeno rivelato solo in minima parte. Sappiamo che Yusaku è un imprenditore, sappiamo che commercia con l’Inghilterra, sappiamo ch’egli si definisce un cosmopolita. Quest’uomo di mondo teme il conflitto molto più di quanto non dia a vedere, e probabilmente sono i suoi timori a spingerlo su una nave diretta in Manciuria: da qui in avanti, tuttavia, terminano le informazioni certe e inizia il tempo dell’ipotesi. A posteriori, possiamo ben immaginare quali saranno le conseguenze di questo viaggio: Yusaku tornerà distrutto (siamo sicuri?), turbato e reciterà la parte di chi, una volta consapevole, s’appresta a intraprendere un profondo cambiamento esistenziale (ma, ancora una volta: siamo davvero sicuri?).
Giunto a conoscenza delle atrocità perpetrate dal suo popolo in quei luoghi lontani, questo individuo dalle sembianze grigie e anonime deciderà d’imbarcarsi illegalmente per gli Stati Uniti. Satoko, moglie devota, lo accompagnerà in quest’avventura dai contorni amari, illudendosi di ricoprire il ruolo di protagonista, ma in fondo accettando l’eterna subordinazione al marito e agli ideali ch’egli incarna.

L’intera narrazione viene sillabata sul non detto, ed è attraverso tale mutismo che gli enigmi si dipanano: è come se i principali indizi di un crimine non venissero rivelati – né dai personaggi, né tantomeno dallo stesso "metteur en scène". La donna continua a ripetere di essere sposata ad una spia, ma nemmeno lei sa se crederci veramente. Eppure, nell’ingenuo entusiasmo con cui questa creatura eterea indossa la maschera assegnatale dal compagno, si nasconde una parte di verità: non è certo un caso il fatto che Yusaku, nel tempo libero, si diletti con la cinepresa. Appassionato di noir, egli tenta – come, del resto, fa anche Kurosawa – di trasferire su negativo quel microcosmo di genere a cui è così affezionato, riplasmandone gli stereotipi e donando una nuova anima a chi si ritrova richiuso nell’affannoso susseguirsi dei fotogrammi. La settima arte è, per il regista, qualcosa di spettrale: realtà e finzione si fondono soltanto nello scorrere incessante della bobina, gli spiriti parlano attraverso le tracce lasciate sulla pellicola. Così, il melodramma nel melodramma si fa documento dell’orrore, e il banale cortometraggio girato dal nostro imprenditore-demiurgo si trasformerà ben presto in un vero e proprio fantasma del presente, concretizzando ciò che è proibito formulare a parole. E il bel volto di Yusaku assumerà la medesima forma delle terribili macchie d’ombra che, in Kairo, sfregiano un’ordinarietà tanto moderna quanto ancestrale.

Nelle spettacolari fantasmagorie di questo autore visionario, un altro tema ricorrente è quello del rapporto fra il singolo e la storia universale che a quest’ultimo appartiene: il fatto che la spia e sua moglie credano fermamente d’avere fra le mani la sorte futura – ancora una volta, concretizzatasi nella forma di breve filmato – non è liquidabile come semplice illusione, ma è frutto di una struggente consapevolezza maturata nel corso delle loro peripezie.
Il finale, in tal senso, chiarirà ogni dubbio, mostrando come l’essere umano sia in grado di determinare il proprio destino e il destino di tutti semplicemente strattonando uno dei fili nascosti alla base del mondo. Unico mezzo atto a svelare un simile intreccio è il cinema: per Kurosawa come per i coniugi Fukuhara, l’immagine in movimento incarna l’occhio nascosto della vita – e della morte in cui essa s’inscrive.


CAST & CREDITS

(Spy no tsuma); Regia: Kiyoshi Kurosawa; sceneggiatura: Ryusuke Hamaguchi, Tadashi Nohara, Kiyoshi Kurosawa; fotografia: Tatsunosuke Sasaki; montaggio: Hidemi Lee; interpreti: Yu Aoi (Satoko Fukuhara), Issey Takahashi (Yusaku Fukuhara), Ryota Bando (Fumio Takeshita), Yuri Tsunematsu (Komako), Minosuke Hyunri (Kanemura), Masahiro Higashide (Yasuharu Tsumori), Takashi Sasano (dott. Nozaki); produzione: NHK (Keisuke Tsuchihashi), NHK Enterprises (Takashi Sawada), INCLINE (Satoshi Takada), C&I ENTERTAINMENT (Tamon Kondo); origine: Giappone 2019; durata: 115’


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