X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



STEAMBOY

Pubblicato il 27 giugno 2005 da Riccardo Protani


STEAMBOY

Per Katsuhiro Otomo la vera Rivoluzione Industriale è stata fondata sul vapore. Anche se poi, nel suo titanico e vigoroso Steamboy oltre a tanto fumo (digitale) c’è una sostanza davvero pregnante. 10 anni di lavoro, un teaser trailer uscito addirittura in patria sette stagioni prima del debutto cinematografico, il battesimo del fuoco all’ultimo Festival del Cinema di Venezia: 120 e passa mesi di lavoro matto e disperatissimo ma alla fine l’Utopia è stata conquistata. Torna così finalmente nel mondo al modo che gli compete l’Autore/Creatore di AKIRA (era il 1988), il Vate dei manga che più passa il tempo e più si può considerare l’Akira Kurosawa dell’animazione giapponese per la titanica e crudelmente mitica sua concezione del progresso, del potere della scienza e del tutto umano tentativo di esercitare con esso il controllo totale sulla natura. Perché - ovvio - da AKIRA a Steamboy i temi permangono gli stessi e si maturano, qui valorizzati al meglio da un’ambientazione molto steampunk che trasporta azione e personaggi nella Londra del 1851 alla vigilia dell’Esposizione Universale inaugurata dalla Regina Vittoria al Crystal Palace, momento superbo di valorizzazione industriale, militare ed economica di una Inghilterra al cospetto del mondo intero. Eppure, nonostante ciò, nel film niente carbone, nessuna fabbrica con comignoli minacciosi e neppure una miniera: il sogno della Scienza è anche in questo caso quello che parte nel 1711 con la prima macchina a vapore creata da Thomas Newcomen per risolvere il problema dell’allagamento delle miniere e che persevera poi con le scoperte di Watt (primo motore a prestazioni industriali) e Maudslay (dal primo tornio metallico alla realizzazione della prima catena di montaggio); un sogno che Otomo fa proseguire nella sua opera moderna e tecnicamente superba, oscena quasi, per la cura predisposta negli infiniti dettagli delle sue 180.000 inquadrature utilizzate per l’animazione del film: dalla tonalità infinita dei colori adoperati ai dettagli architettonici di città e monumenti che rubano armonie e segreti, pare, dalle vedute estreme e definitive del Canaletto; o come dai sempre differenti sbuffi di vapore generati dopo anni studi e ricerche dal programma Digital Engine Framework della Bandai Visual, creato proprio allo scopo di sviluppare la tecnica digitale per condurla, magari un giorno, alla battaglia finale contro la ILM di Lucas (e i risultati attuali farebbero preoccupare adesso anche il migliore degli Jedi in circolazione...). L’esempio sublime della catarsi totale del mestiere calato nella passione di Otomo l’artigiano: un’epoca ormai così lontana nel tempo è stata resa vera a tutti gli effetti in ogni singolo elemento a cominciare dalla viscosità dell’olio usato per lubrificare gli ingranaggi fino ad arrivare al calore umido prodotto dal vapore alla ruvidità del ferro arrugginito. Steamboy è quindi tutto un collage di animazione classica sovrapposta al 3D (e lo shakeraggio tecnico è miscelato con sapienza percettiva e musicale imprescindibile). Chiaro che un progetto così ponderato e studiato (l’idea è arrivata alla testa di Otomo durante il lavoro su uno degli episodi del suo preziosissimo Memories), abbia necessitato di anni di sperimentazioni, un paio di settimane di studio in situ delle locations oltreoceano tra Londra, Manchester e York, e di mesi e mesi di documentazione su macchine e ricerche tecnico-ingegneristiche europee della metà del diciannovesimo secolo. E altrettanto ovvio è che alla fine Steamboy, acclamatissimo e attesissimo ovunque da molto più di un lustro, sia nel tempo divenuto l’anime made in jap più costoso di sempre (2,4 miliardi di yen, 22 milioni di dollari). Di assoluto livello gli apporti artistici dell’art director Shinji Rimura (Catnapped! The Movie), e degli “scienziati” del digitale, già con Otomo dai tempi di Memories, Hiroaki Ando, Tatsuya Tomaru e Sadayuki Murai, quest’ultimo assistente del regista nella stesura della sceneggiatura. Steamboy è così efficace perché si poggia su un paradosso e sulla ricerca di un Graal quasi mistico, per l’epoca: il paradosso è quello della catena di montaggio meccanico che coinvolge ogni macchinario presente nella storia e che può riallacciarsi alla meccanica del cinema intesa come catena di montaggio di fabbrica dei sogni (sceneggiatura-effetti speciali-budget-produzione-riscontro del pubblico), a sua volta contrapposta al montaggio digitale che qui assembla una storia tutta “leve e bulloni”; il Graal è l’elemento cardine di tutto il film, un contenitore compresso ad alta densità e che può generare un’energia di proporzioni immani. Praticamente, l’Oro alchemico della Seconda Rivoluzione Industriale, e non solo per Katsuhiro Otomo.

[Giugno 2005]

regia: Katsuhiro Otomo sceneggiatura: Katsuhiro Otomo & Sadayuki Murai montaggio: Takeshi Seyama musica: Steve Jablonsky regista computer grafica: Hiroaki Ando studio di animazione: Sunrise produzione: Shinji Komori & Hideyuki Tomioka per Screen Gems & Steamboy Committee distribuzione: Metacinema web info: Metacinema

Enregistrer au format PDF