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SULMONA 2006, INCONTRO CON ENRICO PAU

Pubblicato il 7 novembre 2006 da Fabiana Proietti


SULMONA 2006, INCONTRO CON ENRICO PAU

Presente al Sulmonacinema Filmfestival con Jimmy della collina, opera seconda dopo l’esordio di Pesi Leggeri, Enrico Pau incontra pubblico e stampa raccontando la lavorazione di Jimmy e la sua idea di cinema.

E’ stato detto che Jimmy della collina inizia dove I Quattrocento Colpi finisce. Vuoi raccontarci qualcosa del tuo rapporto con il cinema francese?

E.P. La mia formazione non è accademica, non ho studiato cinema nelle scuole o nelle università, ma piuttosto frequentando cineclub, circoli di cinema. Tutte le cose viste in quegli anni sono entrate a far parte di me e ritornano a galla nel momento di girare.

Guardando il film non si può fare a meno di notare un uso insistito della macchina a mano e del piano sequenza. A cosa è dovuto?

Credo che la macchina a mano rifletta bene il mio approccio al cinema. Quando si dispone di validi direttori della fotografia come, nel mio caso, Gian Enrico Bianchi, può essere un ottimo espediente per minimizzare costi e tempi. Ma credo soprattutto che Jimmy andasse girato così, con quelle inquadrature e quei movimenti di macchina. Penso che anche se avessi un budget più alto a disposizione (Jimmy è costato solo 400.000 euro) lo girerei nello stesso modo.
Credo che il piano sequenza sia uno dei momenti più affascinanti del cinema, sia perché per me rappresenta un omaggio ai classici che ho amato sia perché porta una scarica di adrenalina in tutta la troupe, la consapevolezza che le possibilità di ripetere sono poche e il tempo va ottimizzato.

Jimmy della collina è girato tra il carcere minorile di Quartucciu e la comunità della Collina gestita da Don Ettore. Come vi siete accostati a questo mondo?

Quello del carcere è un mondo in cui ci si inserisce pian piano. Valentina (Carnelutti, protagonista femminile della pellicola) è arrivata solo poco prima delle riprese ma aveva già lavorato sul suo personaggio con l’aiuto di uno psicanalista. Noi invece siamo stati molto a contatto con i ragazzi, sia del carcere che della Collina tanto che alcuni, come Mohammed, hanno avuto anche piccole parti nel film. Il lavoro di integrazione per me è basilare, anche nel mio primo film i due protagonisti per interpretare dei pugili hanno frequentato a lungo delle palestre di boxe. Per coinvolgere, poi, i non attori nelle riprese, spiego loro quanto quello che avviene sullo sfondo sia altrettanto importante della scena in primo piano. L’inquadratura funziona solo se tutto è perfetto, spero che nelle scene “collettive” del film si noti.

Il film è stato prodotto da enti pubblici e regionali. Troverà una distribuzione in sala?

Questo è un tasto dolente. In Italia c’è un manipolo di persone che decide cosa dobbiamo vedere.
Io appartengo a una generazione che il cinema se lo è preso a forza, non solo metaforicamente ma anche letteralmente: quando organizzavo rassegne nei cineclub ci caricavamo le pizze delle pellicole sulle spalle, anche se comportava tempo e fatica. Era una grande conquista.
La questione delle distribuzione è un’emergenza enorme per il cinema di oggi, bisogna ristabilire un minimo di correttezza nella scelta di cosa vada visto. C’è alla base un serio problema politico che non si risolve indirizzando il pubblico verso il facile consumo. Tra l’altro, un pubblico per i film di qualità esiste e la sala gremita del cinema Pacifico lo dimostra ampiamente.


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