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Torino 33 - Sunset Song

Pubblicato il 28 novembre 2015 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Torino 33 - Sunset Song

Il cinema di Terence Davies trasuda, fin dagli esordi con il cupissimo Trilogy del 1983, un pessimismo cosmico e ineluttabile che se all’inizio sembrava indicare l’origine di tanta disperazione nell’omosessualità del suo autore (vissuta, secondo le sue stesse parole, come una condanna), si è via via esteso a comprendere l’intera condizione umana, e a cercare nell’arte cinematografica quella sorta di redenzione estetica per riuscire ad assorbire il dolore e trasformarlo in pietas. Tutti i suoi film sono come dei fiumi che scorrono lenti e ineluttabili, come un destino che se sulle prime ci illude regalandoci sensazioni di naturale e legittima voglia di vivere, ci trascina lentamente in un vortice di infelicità la cui colpa, sembra dirci Davies, è da rintracciarsi nella stessa incomprensibile e stupida attitudine umana a non assecondare una naturalità che ci permetterebbe, pur sottostando alle implacabili leggi dell’Universo, una vita serena e pacifica, imbrigliandoci in griglie di regole e imposizioni di matrice sociale, ideologica, politica, religiosa e morale, create apposta per distruggerci e cancellare ogni possibilità di un’esistenza di piena soddisfazione. I tanto avvolgenti e rigorosi quanto studiati ed elaborati movimenti della sua macchina da presa, la cura nella composizione della fotografia, a colori o in bianco e nero, la potenza espressiva delle musiche scelte a commento delle immagini, da una Messa di Anton Bruckner ai Folksong, alle canzoni di musica leggera di epoche passate trasfigurate nel ricordo, fungono appunto da fuga in abbandoni estetici per addolcire il dramma, e inquadrarlo in una cornice di dignitosa compassione.

Anche nel suo ultimo Sunset Song, presentato al Festival di Torino che quest’anno ha voluto tributargli il Gran Premio, Terence Davies perpetua e conferma questa sua visione del mondo, e ci invita nuovamente a riflettere su quanto vana sia la speranza di recuperare una speranza di vita dignitosa in attesa dell’inevitabile fine: ispirandosi all’omonima saga letteraria di una famiglia di contadini scozzesi pubblicata nel 1932 da Lewis Grassic Gibbon, già portata sul (piccolo) schermo dall BBC negli anni ’80, il regista di Distant Voices, Still Lives, la prende a pretesto per raccontare, con l’ormai consueto passo classico di un cinema che respira letteratura ad ogni inquadratura, un’altra progressiva perdita dell’innocenza e della felicità che gli uomini sembrano infliggersi da sé, con l’imposizione di regole e rituali (in questo caso la famiglia, la guerra...) che finiscono per travolgerli: resta, unica consolazione, la calda e gialla luce del tramonto che bagna d’oro tutto questo splendido film i cui ultimi dieci minuti mi hanno causato fiotti copiosi di lacrime.


CAST & CREDITS

(Sunset Song); Regia: Terence Davies; sceneggiatura: Terence Davies; fotografia: Michael McDonough; montaggio: David Charap; musica: Gast Waltzing); interpreti: Agyness Deyn, Peter Mullan, Kevin Guthrie, Ian Pirie; produzione: Hurricane Films, BFI Film Fund, Iris Production, BBC Scotland, Creative Scotland; origine: Regno Unito, 2015; durata: 135’


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