Supernatural: l’horror della provincia dormiente

Che l’horror sia un genere strettamente legato alla fiaba così come al romanzo di formazione il piccolo schermo lo sa bene: l’ha imparato dalle gesta di Buffy e della sua ‘scooby gang’, impegnata contemporaneamente a combattere le forze del male e ad oltrepassare la propria ‘linea d’ombra’.
I mostri – che siano demoni o vampiri – fanno parte di quella ‘people under the stairs’, citando un bel titolo di Wes Craven del ’91, che popola gli incubi di ogni ragazzo che si appresti a diventare uomo.
Cosa fanno infatti, tanto per restare su Craven, le giovani eroine di Nightmare e di Scream se non affrontare le loro paure più recondite nella più completa solitudine? Nell’horror i legami familiari vengono meno, l’individuo è solo nel buio più completo, costretto a confrontarsi innanzitutto con i suoi demoni, più temibili di quelli del mondo sovrannaturale.
La televisione, sfruttando il macro filone del teen drama, ha recuperato queste figure e questi stereotipi per costruire dei percorsi a ostacoli, con prove dure e difficili, superate le quali i protagonisti possono finalmente dirsi cresciuti: a differenza di serial come Dawson’s Creek, The O.C. o One Tree Hill, in cui i pericoli sono quelli del mondo reale e lo smarrimento adolescenziale è affrontato in chiave realistica, i serial horror ricorrono alla metafora e alla stilizzazione ma il disagio dell’adolescente di fronte alla crescita, all’entrata nel mondo orrorifico degli adulti, rimane lo stesso; come personaggi fiabeschi,orfani e figliastri, non possono contare sull’appoggio di una famiglia ma solo su un coraggio che sempre più spesso assume i tratti della disperazione.
Oltre alla – per molti versi irripetibile – esperienza del ‘buffyverse’, a confrontarsi con i poteri dell’ignoto ci sono state le sorelle Halliwell di Streghe, perse tra incantesimi, poteri occulti e amori impossibili con demoni buoni – come non ricordare del resto l’amore contrastato tra Buffy e il suo Angel, vampiro con l’anima?
Se finora l’horror in tv sembrava seguire pedissequamente lo stereotipo della final girl, la fanciulla pura in grado di sconfiggere il mostro, eleggendo a protagoniste delle sue storie esclusivamente personaggi femminili, ultimamente pare esserci stata un’inversione di rotta.
Forse perché improntato su un viaggio on the road tra i placidi paesini dell’America di provincia, Supernatural si pone infatti come un racconto dalle atmosfere profondamente virili: le sue storie sembrano nascere da racconti di paura intorno al fuco, durante una battuta di caccia o pesca.
I protagonisti, Sean e Dean – due facce note dei serial tv, Jared Padalecki (Gilmore Girls) e Jensen Ackles (Smallville) – due fratelli testimoni, nella più tenera età, della morte ‘sovrannaturale’ della madre, arsa da chissà quale creatura, sono stati educati dal padre alla caccia di fantasmi e demoni, come moderni Van Helsing.
E ora, sulle tracce del genitore scomparso nel nulla durante un caso, percorrono le routes dell’immenso Paese sconfiggendo le forze malefiche in cui immancabilmente si imbattono: è la maledizione degli eroi dell’horror, destinati a combattere il Male a prescindere dalla loro volontà; eroi malinconici, votati alla solitudine, non meno dannati dei loro avversari e capaci di trovare comprensione solo in chi condivide la medesima sorte: questo il vero legame tra i due fratelli, più forte di ogni vincolo di parentela o affinità caratteriale.
Ma Supernatural è soprattutto l’horror della provincia dormiente, lontana dalla civiltà della metropoli, e ancora intrisa (fortunatamente?) di spiriti e leggende: ogni cittadina si configura come una Sleepy Hollow dove qualche peccato rimosso causa morti e dolori fin quando la verità non venga a galla, pescando da un immaginario ben collaudato che vira dal fantastico all’horror puro: come non ripensare al Jason di Venerdi 13 di fronte al fantasma del bambino affogato nel lago che miete vittime nel terzo episodio della prima stagione, Morte nell’acqua?
Osservando i fantasmi che popolano queste cittadine, immerse nella nebbia o sperdute tra le montagne – le ‘spose cadavere’ che nella notte assalgono i mariti fedifraghi o i Wendigo, creature ex umane divenute cannibali – sembra impossibile che a pochi chilometri di distanza si entri negli universi razionali di dominio della polizia scientifica dove ogni fenomeno è misurabile e spiegabile.
E’ qui che Supernatural trova una sua originale chiave di lettura, distanziandosi dal ‘teen horror drama’ delle altre produzioni citate; agli spazi chiusi e claustrofobici, alle soffitte e alle cantine Supernatural sostituisce gli sconfinati paesaggi dell’America, foreste, boschi e specchi d’acqua, cogliendo un bisogno di libertà, di ritorno a uno stato di natura o anche oltre la natura: perché, per quanto la struttura di ogni singolo episodio segua le regole di una normale indagine poliziesca, la soluzione – con l’uccisione del mostro – non è mai pienamente ‘soddisfacente’ e si rimane sempre basiti di fronte a eventi irrazionali cui è impossibile fornire spiegazioni logiche.
L’orrore – ma anche la bellezza – del perdere le proprie certezze.
