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Systemsprenger - Concorso

Pubblicato il 9 febbraio 2019 da Matteo Galli

VOTO:

Systemsprenger - Concorso

L’unico lungometraggio che Nora Fingscheidt (1983) aveva girato prima di questo, presentato oggi in concorso a Berlino, era un documentario e s’intitolava Ohne diese Welt (Senza questo mondo) incentrato su una comunità mennonita che vive, appunto, fuori dal mondo, nel nord dell’Argentina, con cui aveva anche preso un paio di premi importanti. Il film di oggi Systemsprenger (in inglese System Crasher), dunque, è il suo primo film di finzione. La parola (che in tedesco può essere letta sia al singolare che al plurale) non fa riferimento a un termine ufficiale della psichiatria infantile, anzi l’espressione è assai dibattuta e controversa, in termini di correttezza politica; cercando su Google troviamo pur sempre più di 50.000 risultati e c’è anche un’apposita voce su Wikipedia con relativa bibliografia finale, solo in lingua tedesca peraltro. Il film è incentrato su Benni, una “Systemsprengerin”, una ragazzina di 9 anni e tre quarti, come dice a un certo punto del film, impulsiva, violenta, oppositiva, apparentemente incapace di adeguarsi a qualsivoglia regola sociale, tanto che malgrado il coordinato impegno istituzionale, individuale, emozionale e addirittura privato di pedagogisti, psicologi, insegnanti, non sembra esserci una soluzione, una terapia, una prospettiva di integrazione nel tessuto sociale, anche il finale aperto sembra proprio dirci questo. Si diceva che questo è il primo film di finzione di Nora Fingscheidt. Finzione? E’ chiaro che dietro il film c’è una storia con dei personaggi ben contornati, al tempo stesso, tuttavia, si avverte quasi a ogni passo che la regista e sceneggiatrice ha studiato tantissimo, ha preso ampia dimestichezza con casi come quello di Benni e, soprattutto, con le varie e articolate risposte che l’efficientissimo sistema tedesco è in grado (o non è in grado) di fornire a casi del genere. E la sceneggiatura funziona da un lato nell’evitare facili risposte alle molte domande che un caso come questo lascia aperte: c’è stata una violenza all’origine? Forse, ma tutto resta molto sul vago. Quando è cominciato tutto questo? Non si sa. Sindrome pre-adolescenziale? Certamente no, la ragazzina si trova ben al di qua di quella soglia. La disumanità della società nelle grandi città o nei ghetti residenziali? Nient’affatto, il film si svolge in provincia. La terapia giusta? Bella domanda! Nel corso del film se ne vagliano diverse: da quella farmacologica, con inquadrature, che tranquillizzano ben poco lo spettatore, sul volto imbambolato della bambina e il suo sguardo fisso e perso, il pellegrinaggio in varie case-famiglie, il soggiorno presso una madre affidataria, fino ad arrivare alla più ardita, quella di cui si fa carico il terapeuta che (quasi) personalmente prende a cuore il suo caso, ossia un prolungato soggiorno nei boschi e nei campi della brughiera di Lüneburg, senza luce, senza televisione, senza internet, dove la violenza viene canalizzata abbattendo alberi, una terapia che a un certo punto sembra anche dare qualche esito, rischiando di far scivolare il film in un rousseauianesimo di ritorno. Ma la regista e sceneggiatrice è brava anche ad evitare questa trappola semplificante. Certo, lo sguardo documentario e freddo a un certo punto cede il passo a una chiara presa di posizione, là dove si capisce che un possibile recupero (la cui tenuta sarebbe tutta da verificare) della ragazzina non può che passare dal ritorno a casa della madre (che ha altri due figli) ma che finisce per essere vanificato dall’incapacità della madre di tornare a fornire alla figlia un contesto affettivo e abitativo stabile e tranquillo. Un dato di fatto, questo, che tuttavia non intende ergersi a moralistica accusa. Il film ha molti meriti: in primo luogo un’attrice ragazzina di straordinaria bravura che risponde al nome di Helena Zengel, trovata quasi all’inizio di un lungo casting (rivelatosi a quel punto inutile), una fotografia estremamente mobile, qua e la à la Dardenne, e a tratti sperimentale (per esempio quando cerca di restituire gli incubi di Benni), curata da Yunus Roy Imer, che si candida fin da ora per un contributo tecnico, una buona sceneggiatura (anche se qua e là, a nostro avviso, si poteva tagliare).


CAST & CREDITS

(Systemsprenger); Regia: Nora Fingscheidt sceneggiatura:Nora Fingscheidt; fotografia: Yunus Roy Imer; montaggio: Stephan Bechinger, Julia Kovalenko; interpreti: Helena Zengel (Benni), Albrecht Schuch (Michael Heller), Gabriela Maria Schmeide (la signora Bafané), Lisa Hagmeister (Bianca Klaaß), Melanie Straum (Dr. Schönemann),Victoria Trautmannsdorf (Silvia), Maryam Zaree (Elli Heller), Tedros Teclebrhan (Robert); produzione: Kineo Filmproduktion, Potsdam, Weydemann Bros, Colonia origine: Germania, 2019; durata: 118’.


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