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TEARS OF KALI

Pubblicato il 18 ottobre 2004 da Antonio Pezzuto


TEARS OF KALI

Scendere giù, ancora più giù, nei meandri della propria coscienza. L’orrore raccontato dal film tedesco Tears of Kali è dentro di noi, oltre il luogo dove le anime morte vagano, dove si nascondono i fantasmi, quelli che popolano la nostra anima ma che non appartengono solo a noi. Fantasmi alla ricerca di corpi da abitare, fantasmi che realizzano i nostri oscuri desideri, fantasmi che non possiamo controllare. Tre episodi per raccontare il lato oscuro della new age, seguendo gli ex adepti della fantomatica setta Taylor-Erikkson, che negli anni Settanta aveva sede a Poona ed in una sala “dall’aria soffocante”, aspirava a ridefinire i limiti del sesso, della violenza e della riscoperta del sé, al solo scopo di far guarire i propri devoti dalla “malattia dell’Occidente”. Una setta finita male, perché non tutto di noi dobbiamo vedere, e quando troppo si sta vedendo può venire voglia di estirparci gli occhi, con gesti che se nella loro forma possono pure ricordare i cani andalusi di bunueliana memoria, nel loro senso ne sono completamente all’opposto. Una setta finita male, come male erano finite le esperienze esoteriche, anch’esse di derivazione tedesca, dell’inglese Alistair Crowley e della sua golden dawn, come male è finita la ricerca di Agarta, che da luogo mitico si è tradotto in aspirazione troppo nazista e oggi si è ridotta ad essere l’inquietante nome della nuova Eurodisney romana, in procinto di essere costruita sulla via Casilina. Tre episodi (Shakti, Devi e Kali) girati in video, interpretati, tra gli altri, da Mathieu Carriere e Anja Gebel e diretti dall’esordiente Andreas Marshall, che contamina immagini televisive con le atmosfere dark, che rinchiude i suoi personaggi in ospedali psichiatrici, cantine o studi di psicoanalisti folli. Tre episodi ed una sola idea, forse un po’ già troppo vista, ma una idea che ha comunque interessato la giuria del festival di Ravenna, che a questo film ha fatto vincere il concorso, conseguenza necessaria per un film che mostra, in fondo, che dalla Malattia dell’Occidente, proprio facile guarire non è.

[ottobre 2004]

regia: Andreas Marschall sceneggiatura: Andreas Marschall fotografia: Heiko Merten, Michale M. Schuff musica: John Panama, India Bearti scenografia: Tim Luna, Stefan Rode montaggio: Andreas Marschall interpreti: Mathieu Carrière, Peter Martell, Adrian Topol, Anja Gebel, Vronie Kiefer, Nuran Celik, Marcel Trunsch produzione: Cut and Run Prod., Anolis Entertainment durata: 110’ origine: Germania 2004

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