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TeleVisionary Remake – Battlestar Galactica

Pubblicato il 30 marzo 2010 da Nicola Lazzerotti


TeleVisionary Remake – Battlestar Galactica

Quello delle serie fantascientifiche è un filone ricchissimo della produzione televisiva made in USA e, come ogni genere altamente codificato, contiene al suo interno diverse suddivisioni. Particolare rilevanza ha avuto il filone relativo allo sci-fi di “viaggio-spaziale”. Era il ’66 quando venne alla luce Star Trek (The Original Series) che rivoluzionò completamente il modo di intendere la fantascienza. Verso la fine degli anni ’70 Glen A. Larson e Donald P. Bellisario idearono (grazie soprattutto al sopraggiungere di nuovissime tecnologie sperimentate nel film Guerre stellari: Una nuova speranza) Battlestar Galactica (Battaglie nella galassia). Nel 2003 sul canale fantascientifico Sci Fi Channel della NBC prese il via la miniserie Battlestar Galactica: The Miniseries che getta le basi e testa il terreno per la nuova serie di Battlestar Galactica.

Durante la cerimonia della messa in disarmo della nave spaziale Galactica (una delle 13 navi spaziali utilizzate nella guerra contro i Cylons, macchine automatizzate che si sono ribellate all’Uomo), le 13 colonie (13 pianeti in cui si sono insediati gli esseri umani) vengono nuovamente e contemporaneamente attaccate dalle truppe cylone e completamente annientate. Questo vile attacco giunge completamente inaspettato, quarant’anni dopo l’instaurarsi della pace seguita alla firma dell’armistizio fra le due parti. Solo una flottiglia di poche astronavi in navigazione (per lo più civili) scampa all’attacco nucleare che ha devastato i pianeti. Salve dallo sterminio e radunate intorno alla nave da guerra Galactica, queste dovranno scampare all’annientamento e trasportare i pochi sopravvissuti (circa 30 mila) in un esodo verso una nuova terra, sotto la guida della presidente Laura Roslin (Mary McDonnell), ex sottosegretario dell’istruzione, e dell’ex comandante, ora ammiraglio, William Adama (Edward James Olmos). Insieme a loro un gruppo di personaggi eterogenei attraverso le cui storie viviamo questa odissea: personaggi come Gaius Baltar (James Callis), l’uomo che per le sue debolezze e la sua stoltezza ha condannato la razza umana, e il capitano Kara ’Starbuck’ Thrace (Katee Sackhoff), una donna dura, brutale e severa il cui destino sarà quello di guidare il popolo fino alla nuova Terra.

Diverse sono le novità portate avanti da questo piccolo gioiello della fantascienza, prima fra tutte una dimensione di assoluto e terribile realismo. Ogni inquadratura, quasi sempre effettuata con macchina a mano, e ogni ripresa regalano un’atmosfera di angoscia e disperazione, dai titoli di testa (dove in ogni puntata viene rigorosamente riportato il numero dei sopravvissuti) fino all’ultimo fotogramma. Gli autori mostrano così un universo precario sempre pronto a sfaldarsi. Per rendersi conto di questo basta vedere 33 (la prima puntata della serie) in cui si narra la necessità di compiere un salto nell’iperspazio ogni 33 minuti - pena l’annientamento – operazione che aumenta lo stress e il dramma cui sono sottoposti l’equipaggio e tutta la flotta. Un conto alla rovescia che si ripete costantemente ogni 33 minuti in un clima d’assedio continuo!
Quando nel 2003 uscì Battlestar Galactica non si trattava di un buon momento per il genere sci-fi televisivo: proprio in quegli anni si chiudeva Star Trek: Enterprise, l’ultima nata della mitologia trekkiana. Questa nota non è banale se si pensa che dall’87 in poi Star Trek era sempre stata presente nei palinsesti americani con una sua serie. E nel 2002 aveva chiuso i battenti Firefly che, al pari dell’altra, non era stata capace di parlare al pubblico post 11 settembre: gli americani non avevano più fiducia nel futuro e nel progresso della società - messaggio centrale in tutto Star Trek - e avevano bisogno di guardare in maniera cruda e realistica dentro se stessi: Battlestar Galactica dava loro modo di farlo.
La fantascienza televisiva eterna metafora dei nostri tempi, come già in più occasioni riportato e spiegato, rappresenta uno strumento efficace per raccontare il qui ed ora: il viaggio verso la nuova terra assume allora un significato profondo, è l’immagine di un futuro incerto che l’umanità tutta deve affrontare e non - come in più parti riportato - solo una metafora del peregrinare del popolo ebraico, un richiamo, quest’ultimo, che però diventa rilevante nel momento in cui il viaggio assume un senso spirituale. Nella serie in questione - e qui risiede gran parte della sua modernità - il tema del divino è onnipresente, ma non nel suo senso dottrinale, quanto piuttosto in quello spirituale: Dio diventa allora una specie di espressione della natura. Ed è proprio questo in fondo il senso profondo dell’analisi, un’identificazione in un qualcosa di indefinito e inspiegabile che diviene, nello scorrere della narrazione, una specie di ordine nella storia, nel tempo e nel caos.
Ma il viaggio, oltre a rappresentare uno spostamento fattivo per la ricerca di una nuova “Casa”, diviene dunque anche un percorso interiore rivolto al progresso e al miglioramento. In più parti ciò risulta fin troppo chiaro: i 30 mila sopravvissuti avranno come primo nemico infatti proprio loro stessi, le lotte di classe, il senso di giustizia e democrazia e le differenze razziali. Questi saranno temi centrali nell’evolversi della storia e lo stesso rapporto con i Cylons che, soprattutto nelle loro versioni umanoidi (per quanto riguarda la tipologia 6 esistono infatti, almeno in principio, versioni umanoidi di Cylons), attraverseranno prove analoghe a quelle degli umani, rappresentando così un perfetto bilanciamento nella storia. Ed è proprio attraverso queste prove che, puntata dopo puntata, l’opera si snoderà e maturerà fino ad un finale rivelatore tra i più struggenti e onesti della televisione americana.
Andata in onda per quattro stagioni, in cinque anni tra il 2003 e il 2009, Battlestar Galactica, grazie a un solidale pubblico di fan, si è saputa imporre nella cultura di massa americana. A migliaia sono le citazioni nelle altre serie televisive, e addirittura il termine “Frak off” (parola gergale che, purtroppo, si perde nella traduzione italiana) è divenuto di uso comune nella tv americana. Questo per rendersi conto di quanto profondo sia il solco tracciato da questo meraviglioso dramma fantascientifico, capace di dare nuova linfa e nuova forza a un genere che, persa per sempre “l’età dell’innocenza”, non potrà mai più prescindere da esso.


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