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TFF ’05 - Americana - Dominion: Prequel to the Exorcist

Pubblicato il 18 novembre 2005 da Fabrizio Croce


TFF '05 - Americana - Dominion: Prequel to the Exorcist

La struttura del racconto, la capacità di progredire acquisendo elementi e creando atmosfere che suscitino tensione e aspettativa, dovrebbe essere il perno portante sul quale si ramifica la costruzione drammaturgica del genere horror, con in più il sostegno di una forte, penetrante sensibilità dell’immagine e della visione. Ora non c’è bisogno di scomodare la potenza espressiva e narrativa dell’Esorcista di William Friedkin, realizzato in quel meraviglioso, sanguigno e folgorante 1973 del cinema americano, per confutare questo nuovo prequel-ovvero la storia antecedente ai fatti raccontati da L’Esorcista - che viene dopo l’altrettanto inutile e deludente La genesi diretto da Renny Harlin nel 2004. Certo sembrava naturale il passaggio di testimone da uno scrittore, sceneggiatore e perfino regista (del terzo capitolo) avvezzo a interrogarsi sul senso di colpa e sulla corruzione spirituale come William Peter Blatty a uno sceneggiatore e cineasta ex-seminarista di rigida formazione calvinista come Paul Schrader. E invece è proprio lo script la parte più fragile e stucchevole dell’operazione ed anche se la responsabilità non è da imputare a Schrader visto che gli autori del copione si chiamano William Wisher e Caleb Carr, si tratta sicuramente di una sua mancanza il fatto di non aver saputo tradurre la storia in una scrittura filmica in grado di spostare le convenzioni dell’horror nel territorio ben più scioccante e profondo dell’orrore morale ed esistenziale. Fin dall’improbabile ambientazione africana, dove troviamo alla fine degli anni quaranta un giovane padre Merrin dalla fede latitante e nelle vesti di archeologo i cui scavi hanno riportato alla luce un antica chiesa bizantina,il film appare fiacco, macchinoso, incapace di conquistare e sedurre ed una sorta di memoria del corpo fa scorrere dietro la schiena i brividi che suscitavano le disturbanti mutazioni fisiche e sonore di Regan MacNeil, colei che un padre Merrin più maturo e segnato avrebbe liberato da Satana nel film di Friedkin. Anche qui c’è un caso di possessione demoniaca ai danni di un ragazzo indigeno alle soglie dell’alfabetizzazione linguistica e del battesimo, ma non c’è traccia del percorso interiore e della sofferenza che dà all’effetistica rappresentazione del male un diretto collegamento con le emozioni primarie infettate e contagiate: tutto è ovvio e piatto come le elementari psicologie dei personaggi secondari, dal giovane prete che con il suo sacrificio restituirà a padre Merrin la forza di credere, alla dottoressa che sarà il suo sostegno nelle debolezze umane (almeno ci fosse un cedimento alle tentazioni della carne!), per non menzionare il modo in cui vengono descritti gli indigeni appartenenti alle tribù locali, divisi tra sanguinari celebratori di riti e copie accondiscendenti e ubbidienti degli zii Tom d’oltreoceano. Purtroppo non c’è neanche l’ostentazione di una macchina produttiva tanto forte da sostenere quello che in teoria sarebbe il potenziale fantasmagorico, ridotto a effetti e trucchetti davvero scandenti negli annali dell’eterna rappresentazione del lotta tra Bene e il Male. Possibile che non si sia potuti andare più in là del didascalico prologo in cui Merrin, per opporsi ai soprusi e alle barbarie delle SS nell’Olanda occupata dai Nazisti, è responsabile involontario di una strage e ne porta indelebilmente(!?) la colpa da riscattare? Il fatto è che la situazione è così stagnante e fangosa che proprio quelle sequenze di colpa e di tormento, che si vorrebbero oniriche e simboliche, non conducono da nessun altra parte che non sia un immaginario fittizio di cartapesta, lontano dall’ispirazione e dalla riflessione. E l’immagine conclusiva di padre Merrin che, vinta la battaglia con il demonio e ristabilito l’ordine, abbandona la missione africana come un cowboy che non deve chiedere mai, insulta la mitologia del west più di quanto non faccia Satana nei confronti della Chiesa (tra l’altro Gary Cooper buttava la stella da sceriffo nella polvere, mentre Merrin si rimette la tonaca!)

[18 novembre 2005]

Regia: Paul Schrader; Sceneggiatura: Willliam Wisher,Caleb Carr; Fotografia: Vittorio Storaro; Musica: Trevor Rabin,Angelo Badalamenti Interpreti: Stellan Skarsgard, Gabriel Mann, Clara Bellar, Billy Crawford Produzione: James G.Robinson per Morgan Creek International Origine: USA,2005


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