TFF 2010 - Las marimbas del infierno - Concorso

Il Guatemala è uno dei paesi più poveri dell’America Latina, e la criminalità organizzata e non – anche se non fa scalpore come quella messicana – è a livelli altissimi.
Las Marimbas del infierno di Julio Hernàndez Cordòn racconta la vera storia dell’”uomo qualunque” Don Alfonso, un suonatore di marimba vittima di un’estorsione, e delle sue tribolazioni per mantenere l’unica cosa che gli è rimasta al mondo: la sua marimba per l’appunto, anche se lo strumento non riesce più a fruttargli nessun tipo di ingaggio.
Per quanto sia una storia documentaristica, Las marimbas del infierno ricostruisce i fatti in modo finzionale, facendo recitare i protagonisti effettivi degli eventi narrati e aggiungendo alcuni aspetti inventati in una misura impossibile da scoprire. Ad eccezione dell’inizio – incentrato su di una classica ma breve intervista che rende conto della disperazione di Don Alfonso – il film si dipana insomma come una storia d’invenzione, pur restituendo una visione profonda della realtà guatemalteca.
Insieme a Don Alfonso ci sono il suo figlioccio Chiquilìn e il medico/musicista Heavy Metal Blacko, che cerca di integrare il protagonista e la sua marimba nella propria band apparentemente agli antipodi della musica tradizionale suonata da Alfonso. Delle loro vicissitudini ci è dato sapere qualcosa ma non tutto: il film ci racconta i suoi personaggi e il loro passato ma lascia programmaticamente “fuori campo” alcune spiegazioni su queste vicende che una narrazione più classica avrebbe incluso per delineare un classico quadretto psicologico. Sappiamo che Chiquilìn è stato prigioniero e che è riuscito a fuggire, ma di chi e perché non lo scopriremo mai.
La storia si dipana tra momenti esilaranti ed altri di grande squallore e tristezza, come quando Chiquilìn impegna la marimba del padrino per saldare i debiti di una prostituta su cui ha delle mire. Ciò che maggiormente trasmette l’angoscia e la desolazione che il regista sente nel proprio paese natale sono però i bar in cui frequentemente si trovano i protagonisti: vuoti e pacchiani, affollati di stridenti icone dell’opulenza occidentale. E’ comunque sorprendente la levità che Cordòn riesce a mantenere nel corso dell’intero film, anche nei momenti più tragici, anche negando ai protagonisti ogni genere di happy end o di redenzione finale. Non sembra esserci nessuna speranza in questo mondo in disfacimento, travolto anche dalla crisi economica, eppure si ride. La sequenza in cui il metallaro Blacko racconta con candore disarmante il suo passaggio dall’essere un satanista all’evangelismo – come se fossero due religioni pienamente equiparabili – è veramente esilarante e al contempo una critica ferocissima dell’abbandono completo in cui certe persone sono destinate a vivere e dei vuoti vessilli di cui pullula una società vacua e ingiusta come quella in cui viviamo.
(Las marimbas del infierno); Regia:Julio Hernàndez Cordòn ; sceneggiatura:ulio Hernàndez Cordòn ; fotografia: Marìa Secco; montaggio: Lenz Claure; musica: Guerreros del Metal, Bacteria Sound System; interpreti: Alfonso Tunchè (Don Alfonso), Blacko Gonzàlez(Blacko), Victor Hugo Monterroso (Chiquilìn); produzione: Melindrosa films, Les Films du Requin ; origine: Guatemala - Francia - Messico; durata: 73’.
