TFF 2010 - Requiem for Detroit? - Festa Mobile

In Italia la città statunitense di Detroit è entrata nel dibattito politico ed economico contemporaneo in seguito alla decisione della Fiat di Marchionne di inglobare la Chrysler. Quest’industria automobilistica, insieme alla Ford e alla General Motors, costituiva un tempo quella triade a cui gli americani fanno riferimento semplicemente come The Big Three, le tre grandi aziende dell’auto che hanno costituito la fortuna della città di Detroit, centro propulsore della seconda più grande rivoluzione industriale di sempre, quella appunto dell’industria automobilistica. Le “grandi tre” hanno avuto il monopolio di quest’industria fino agli anni ’60, e hanno reso Detroit una delle più importanti e ricche città degli Stati Uniti, nonché laboratorio e prototipo della società dei consumi come la conosciamo oggi. Requiem for Detroit?, del regista inglese Julien Temple (autore del film culto sui Sex Pistols The Great Rock’n’Roll Swindle), ripercorre la storia di questa città dal suo momento di massimo splendore – legato al trionfo mondiale dell’invenzione di Henry Ford, l’automobile – fino alla sua attuale decadenza, imputabile alla concorrenza dei modelli più economici giapponesi ed europei e alla recente crisi dell’economia. Con una tesi di fondo: nella sua decadenza totale Detroit continua ad essere un centro in cui si sperimenta il nostro futuro, in quanto potrebbe rappresentare il primo esempio di come saranno le città post-industriali se – com’è plausibile – assisteremo presto al tracollo dell’economia di mercato come è stata intesa fino ad oggi, quando sarà chiaro che il libero mercato non è ontologicamente legato all’idea stessa di economia, e che esistono – devono esistere - delle vie alternative.
Detroit oggi è una città fantasma, pullulante di case disabitate e di padiglioni industriali ridotti in macerie. Ogni notte vengono appiccati circa 70 roghi agli edifici che un tempo si stagliavano come emblemi di un dominio economico che ha mostrato infine la sua intrinseca debolezza. Da 3 milioni circa di abitanti si è infatti passati ad ottocentomila, e l’emigrazione verso altri luoghi è un’emorragia inarrestabile. Il film di Julien Temple ci mostra questa città fantasma e le sue macerie, proiettando sui muri degli edifici in rovina i fantasmi dello splendore e dell’opulenza che furono.
La tecnica visionaria di questo regista è, insomma, messa al servizio di una sovrapposizione di presente e passato che si mescolano nella medesima immagine, in un’osservazione malinconica e accorata di un mondo impressionante e post-apocalittico, in cui il tasso di criminalità è uno dei più alti degli Stati Uniti, ma che al contempo continua a produrre cultura e fiducia nel futuro.
La particolarità della visione di Julien Temple sta nel fare di questo film una sorta di documentario musicale: la musica è un tappeto sonoro continuo e mai casuale, che si vale unicamente di canzoni degli artisti originari di Detroit. Questa città è stata infatti anche la culla di almeno tre grandi “rivoluzioni” musicali. Negli anni ’40 e ’50, quando ospitava la migrazione dei lavoratori neri del sud che andavano a lavorare nella più remunerativa industria dell’auto, e tra di loro anche un bluesman come John Lee Hooker. In seguito, negli anni ’60, venne fondata la Motown Records, che produsse nomi come Marvin Gaye, The Four Tops, Stevie Wonder e i Jackson 5, e alla fine di quella stessa decade a Detroit nacquero gli Stooges di Iggy Pop.
Infine, a decadenza ormai avviata, gli anni ’90 videro il fiorire della scena garage e hip-hop, con una serie di gruppi underground spesso giunti alla consacrazione mondiale: è il caso di Eminem, nato in una delle zone più pericolose di Detroit (8 mile road, che dà anche il titolo al film su di lui) e The White Stripes, autori tra le altre di The Big Three Killed My Baby, una canzone d’accusa contro l’industria dell’auto che accompagna alcune immagini significative della devastazione della città.
Oggi la vegetazione si è impossessata nuovamente delle case disabitate e delle antiche effigi del dominio economico mondiale, ma in questa desolazione alcune persone hanno cominciato a piantare degli orti dove un tempo sorgevano i templi dell’industria. Nelle stanze vuote dei capannoni e dei teatri abbandonati Julien Temple fa echeggiare i lugubri i fantasmi dello splendore passato ormai perduto per sempre, ma che attraverso la musica consegna un possibile retaggio positivo ad un presente in cui i mezzi di sussistenza più arcaici tornano a prevalere su quell’evoluzione tecnologica che sembrava inarrestabile.
(Requiem for Detroit?) Regia: Julien Temple ; montaggio: Caroline Richards; produzione: Films of Record; origine: Gran Bretagna ; durata: 78’.
