X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



THE CONSTANT GARDENER

Pubblicato il 18 settembre 2005 da Edoardo Zaccagnini


THE CONSTANT GARDENER

Si tratta di un film sospeso tra due modi di fare cinema. Da una parte c’è il film d’inchiesta americano, quello alla Traffic, per dirne uno, o alla Erin Bronckowich, per dirne un altro. Dove anche lo stile si avvicina al realismo convenzionato e la pellicola ai colori del quotidiano. Mossi e rafforzati dalla macchina a spalla e da “finti” documenti in tinta con lo stile. Molto spesso, però, ci ritroviamo in panoramiche da kolossal, con annessi schemi narrativi collaudati, e questo ci lascia spiazzati. Perché quando ci caliamo nell’inchiesta sulle case farmaceutiche, noi, saremmo disposti ad andare fino in fondo, anche se non supportati dalla garanzia che fornirebbe l’ufficialità del documento. Quello che annulla l’ultimo dubbio alla sospensione dell’incredulità, lo stesso che ha rafforzato, a Venezia 62, Good Night e Good Luck e Cinderella Man. Là ci sono pezzi di storia e su questo non ci piove. Nomi e fatti che in un certo senso convalidano i sobborghi della grande depressione o gli uffici del cosiddetto maccartismo. Elementi che lo spettatore si trascina, piacevolemente e distrattamente, per tutto il viaggio, nella Storia e nella finzione. Il giardiniere tenace, titolo più adatto a una commedia plautina che a un film inchiesta sulle case farmaceutiche, è un Ralph Fiennes malinconico, sensuale e tutto dentro al film. E’ un personaggio tutto di penna e di meccanismi cinematografici. Diventa un maratoneta, un esorcista, un cane di paglia, un rambetto e tanti altri personaggi che ci hanno emozionato negli anni. Però c’era impostato un discorso sociale, se vogliamo politico, rimasto in sospeso come certi ecomostri confiscati. Discorso che, fuori dal film, sembra urgente e delicato. Allora, domanda, se si sceglie di affrontare questo tema, perché non farlo con decisione, rinunciando agli stereotipi del film d’azione mozzicchia fiato? Cosa rimane dentro noi? Nessuna celeste nostalgia per un film che si è sciolto nei sapori gustosi al grande pubblico indeciso del week end, e che si è accontentato di farsi pubblicità con la faccenda del film impegnato e sovversivo e che invece è colpevole di essersi fermato a metà campo come un tennista o un portiere, incapaci di colpire di volè, di pugno e fortemente a rischio pallonetto. Ed è un peccato perché a tratti la finzione era stata convincente e ben organizzata. Ci era piaciuto quel taglio un po’ Inarritu, un po’ Soderberg: agile, ficcanaso, disordinato e affascinante. Forse è per questo che le liriche sui grandi spazi africani le abbiamo sentite un po’ indigeste, e la tensione londinese sulle spalle del protagonista vittima, martire, inopportuna e mercantile. Il regista era Fernando Meirelles, quello di City of God, e ci era sembra legittimo desiderare un pò di più. Ma sai gli affari sono affari...

[Settembre 2005]

Regia: Fernando Merilles,sceneggiatura: Jeffrey Caine,montaggio: Stuart Miller,interpeti: Ralph Fiennes, Rachel Weisz,produzione: Gail Egan, Donald Ranvaud, Simon Williams,distribuzione: Origine: Usa Gb


Enregistrer au format PDF