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Venezia 77 - The disciple

Pubblicato il 5 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - The disciple

Sharad Nerulkar (Aditya Modak) è un giovane musicista. Iniziato dal padre fin dalla più tenera età al culto di una tradizione millenaria e inaccessibile, il ragazzo tenta di schiudere il mistero che si cela sotto la superficie di un’arte apparentemente eterna. Guidato dalle parole del proprio mentore spirituale e canoro, egli peregrina per la Mombai contemporanea a bordo del suo scooter, inseguendo le antiche orme di un luogo e di un tempo ormai dissoltisi. Ma Sharad non è un sognatore e, di conseguenza, nemmeno un nostalgico: il suo sogno è quello di riconciliare il presente con le perdute origini, tracciando un epilogo felice. Quando non si esercita, l’allievo converte in formato digitale vecchi nastri su cui i maestri del passato hanno inconsapevolmente inciso le loro voci. E fra questi canti ce n’è uno in particolare che segna l’inquieto peregrinare del nostro protagonista: quello della precettrice Maai, figura evanescente e controversa venerata quasi come una sorta di divinità.

The Disciple è certo la storia di una consacrazione, ma non di una vera ascesi. Chaitanya Tamhane non ha nessuna intenzione di trascinare lo spettatore al di fuori del proprio mondo, al contrario: le intenzioni della pellicola, così come quelle di Sharad, sono oneste. Il film, suddiviso nei tre frammenti che segnano il vagabondaggio del giovane studente fino ad accompagnarlo all’età adulta, illustra l’ambivalente natura del rapporto fra uomo e musica – un rapporto che, non sono in India, spesso oscilla continuamente fra devozione e sfruttamento.

I personaggi si muovono all’interno di un universo estremamente reale, racchiusi in ambienti modesti nei quali le vecchie armonie si celano tanto per preservarsi quanto per nascondersi da occhi indiscreti. La quotidianità dei gesti e dei simboli si alterna a quella di una routine globale composta da indifferenza e cinismo, da una crescente e inevitabile disillusione che il regista non condanna affatto, ma ritrae con una certa clemenza di cui tutto sommato gli siamo grati. Perché nella vita di Sharad non ci sono soltanto melodie ancestrali, ma esperienze e sentimenti decisamente più prosaici: l’ansia precedente ad ogni esibizione, le chiacchiere un po’ naif in compagnia dei colleghi, le discussioni con la nonna troppo premurosa. E il ricordo del padre non è basato su un sentimento d’adorazione o di frustrazione, ma su un piacevole rimembrare che sembra possedere molte più sfaccettature di quante invece ne dichiari il grande schermo. I concerti e le lezioni che scandiscono l’esistenza del protagonista non si circondano di nessuna allure autocelebrativa, ma si espongono sulla pellicola con un certo pudore. Lo sguardo della cinepresa è sempre lucido, perfino se ammaestrato dai vocalizzi ridondanti di Maai, genio incompreso e presumibilmente lucida truffatrice. Il cosmo musicale creato dal lungometraggio è infatti segnato dal precario equilibrio fra aspettativa (dal retrogusto vagamente occidentale) e verità. L’immaginario triviale bollywoodiano, l’americanizzazione della lingua e dei costumi, l’attrazione verso ovest vengono presentati come parte di una realtà più vasta, composta da una superficie e da vari abissi. Di fronte alla mercificazione dell’arte, prima ci si indigna – proprio come fa il protagonista nei confronti di un inurbato critico musicale – poi però si finisce per accettare l’ordinaria coesistenza fra correnti opposte. Il virtuosismo piace solo agli imberbi e agli ipocriti – che si tratti di guru o di discepoli smarriti. È quasi come se Tamhane ci ripetesse in continuazione di rimanere con i piedi ben piantati a terra: l’unica vera lezione che Sharad, una volta giunto al termine del proprio cammino, saprà comprendere a pieno.


CAST & CREDITS

(The Disciple); Regia: Chaitanya Tamhane; sceneggiatura: Chaitanya Tamhane; fotografia: Michal Sobociński; montaggio: Chaitanya Tamhane; interpreti: Aditya Modak (Sharad Nerulkar), Arun Dravid, Sumitra Bhave, Kiran Yadnyopavit; produzione: Zoo Entertainment Pvt. (Vivek Gomber); origine: India 2019; durata: 128’


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