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Venezia 77 - The human voice

Pubblicato il 6 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - The human voice

È in generale un peccato che Pedro Almodóvar, una volta abbandonato l’universo felliniano di Dolor y gloria, abbia deciso di ritornare all’ovile. La purpurea sovrabbondanza del regista spagnolo divide gli animi: o la si ama perdutamente o la si odia profondamente. Ma la delicatezza inscritta nella penultima pellicola era quasi riuscita a mettere tutti d’accordo, a redimere gli oppositori. L’indecifrabile malinconia e la passionalità contenuta, reale con cui Pedro-Salvador raccontava le montagne russe della sua vita risultavano convincenti, quasi si trattasse d’aprire il libro della sua cinepresa su un nuovo capitolo.

Contrariamente alle aspettative, invece, The human voice risprofonda nella nevrosi patologica e nel grottesco. Del mentore Cocteau, ovviamente, resta ben poco – com’è normale e giusto che sia. La pièce si presta a qualunque voce (compresa quella di Sofia Loren, nel cortometraggio di Ponti), purché le parole proferite s’insinuino stabilmente nell’orecchio di chi ascolta. Ovviamente, non è certo questo il caso: qui si assiste ad un vero e proprio esercizio di stile in cui il volto principale rimane tutto sommato impassibile. Se la logica surrealista pretende d’alternare recitativo e canto come se nulla fosse, quella di Almodóvar riduce la narrazione – e, con essa, perfino il rapporto fra i due amanti – ad una pomposa mise en scène. Tilda Swinton corre incessantemente per la casa-teatro, cambiandosi d’abito e prendendo ad accettate i vestiti dell’ex compagno, truccandosi e inghiottendo decine di pillole colorate nel tentativo di farla finita una volta per tutte.
Del monologo non rimane nulla, come non rimane nulla nemmeno del viscerale sentimento da cui si dovrebbero originare rabbia, delusione, smarrimento e, se vogliamo, perfino il desiderio di prendersi la propria rivincita: là dove manca ogni senso della progressione – tanto nella sofferenza quanto nella follia – non c’è, non può esserci nessun dramma, figuriamoci una tragedia o, peggio ancora, una commedia. Il drammaturgo francese ci insegna che l’ordinario lasciarsi di una coppia dovrebbe contenere molte più sfumature di quante non ne appaiano nella quotidianità più superficiale, per cui è inevitabile ora chiedersi dove queste sfumature siano finite. Smarrite nel negozio di utensili in cui l’attrice compra l’ascia per fingere un crimine di cui non sarebbe mai capace? Svanite insieme alla cornetta invisibile con cui Tilda immagina di strozzarsi e di trascinare con sé il suo uomo? Carbonizzate nel lussuoso appartamento destinato, fin dalla prima inquadratura, ad essere ridotto in cenere? O le nasconde da qualche parte il cane che, proprio come la nostra voix humaine, cerca disperato il suo padrone?

Forse l’intenzione del regista era quella di trasformare un tentativo di suicidio in un’occasione per voltare pagina, forse l’aperta sospensione fra verità e immaginazione dovrebbe lasciarci sperare in un possibile lieto fine, forse dietro all’alienante irrequietezza della donna si nasconde un’insospettabile sicurezza: eppure ciò che si legge sul grande schermo ha solo le sembianze di in una breve crisi isterica dai toni vendicativi.
I frammenti della storia passata, il carico di aspettative necessariamente deluse, le cicatrici lasciate da una relazione in cui uno dei due detiene il controllo assoluto sull’altro: tutto ciò attorno a cui vortica l’intima confessione di Cocteau viene qui a mancare. È alquanto fastidioso il modo in cui la protagonista passa improvvisamente dal fingersi equilibrata al fingersi furiosa al fingersi addolorata al fingersi serena al fingersi indifferente, e così via attraverso una serie di istantanee emotive dall’effetto estraniante.
In questo saliscendi affettivo dalle traiettorie abbastanza piatte, il regista richiama alla memoria tutti i suoi comodi cliché: autodistruzione, autocelebrazione, esasperazione, pazzia, ritorsione reciproca. L’universo femminile di Almodóvar è questo e, una volta giunto al suo epilogo, brucia sempre.


CAST & CREDITS

(The Human Voice); Regia: Pedro Almodóvar; sceneggiatura: Pedro Almodóvar; fotografia: José Luis Alcaine; montaggio: Teresa Moneo; interpreti: Tilda Swinton; produzione: El Deseo D.A. (Agustin Almodóvar, Esther García); origine: Spagna, Stati Uniti 2019; durata: 30’


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