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The Last station

Pubblicato il 27 maggio 2010 da Sila Berruti


The Last station

Il pensiero di un grande uomo smette di appartenergli nel momento in cui diventa dominio dell’umanità intera; egli non può e non deve controllarlo nè gestirlo, ma semplicemente lasciarlo andare accettando che questo muti ed evolva, o involva, al di fuori delle maglie della sua volontà. Ma una donna che ama non può sopportare che il suo uomo divenga egli stesso un’icona e cessi per questa ragione di essere l’amore della sua vita per diventare il simbolo di se stesso. Tratto da un romanzo di di Jay Parini che gode dell’ approvazione dei discendenti di Tolstoj, The Last station è la storia di un amore a tre tra il grande scrittore Lev Nikolaevič Tolstoj (Christopher Plummer), il popolo russo e la moglie, la contessa Sofia Bers (Hellen Miller).
Sofia e Lev Nikolaevič sono stati sposati per quasi mezzo secolo, lei lo ha aiutato nelle stesura di capolavori come Guerra e Pace e Anna Karenina e quando il marito decide di diventare povero, vegetariano e di promuovere idee comuniste su uguaglianza e parità sociale, lei comincia lentamente ed inesorabilmente a perderlo. Stanco delle continue e violente litigate, Lev decide di andarsene, abbandonando la moglie nella notte, per intraprendere un viaggio che, lontano da lei, gli costerà la vita. L’ultima fatica del regista di Sogno di una notte di mezza estate, è quindi, prima di ogni altra cosa, la storia di un amore straordinario, eterno e violento. Un amore complesso fatto di momenti di luce a attimi di ombra che si alternano con straordinaria velocità lasciando lo spettatore di fatto libero di scegliere da che parte stare. Girato con uno stile semplice, forse troppo classico, fatto di lunghi piani sequenza e panoramiche, il film è però scritto in maniera ricca e articolata. La caratterizzazione dei personaggi non è mai banale e rende perfettamente la complessità di una vicenda ancora tutta da chiarire. Quando Tolstoj, guidato o plagiato dal suo braccio destro Vladimir Chertkov, decide di cedere i diritti della sua opera all’intero popolo russo perché essi divengano patrimonio dell’ umanità diseredando di fatto la moglie e i numerosi figli (tredici di cui cinque morti in età prematura), Sofia andrà su tutte le furie rendendo di fatto la vita dello scrittore impossibile. Il film oscilla tra lo sguardo prevenuto di Chertkov, che descrive la Contessa come una donna avida e quello di Sofia che vede nel braccio destro del marito, un velenoso serpente; per poi abbracciare definitivamente quello di un giovanissimo Valentin Bulgakov (James McAvoy) nelle vesti di segretario personale di Tolstoj. Inesperto e infarcito di teorie sul Tolstojanesimo (vera e propria religione che predicava astinenza sessuale e povertà così estrema da non essere condivisa a pieno nemmeno dallo stesso Tolstoj), Bulgakov restituisce allo spettatore la visione vergine e pura di una vicenda fatta di odi e rancori accumulati negli anni, scrivendo due diari: in uno descriverà quello che Chertkov gli ha “ consigliato ” di vedere e nell’altro semplicemente quello che accade senza condizionamenti. Hoffman decide, alla fine, di seguire la via del secondo diario, di prendere le difese della donna ferita, della moglie umiliata, dell’essere umano offeso nel suo orgoglio e nella sua stessa essenza. Hellen Miller è straordinaria, nel un ruolo complesso di una sposa sempre in bilico tra reazioni esagerate e contegno aristocratico, rispondendo perfettamente alla duplice natura del un film.


CAST & CREDITS

The Last station. Regia: Michael Hoffman; Cast: Helen Mirren (Sofya Tolstoy), Christopher Plummer (Leo Tolstoy), James McAvoy (Valentin Bulgakov), Paul Giamatti (Vladimir Chertkov), Anne-Marie Duff (Sasha Tolstoy); Sceneggiatura: Michael Hoffman (based on Jay Parini’s book); Fotografia: Sebastian Edschmid; Montaggio: Patricia Rommel; Scenografia: Patrizia von Brandenstein; Costumi: Monica Jacobs; Musica: Sergey Yevtushenko; Produttore: Chris Curling, Jens Meurer, Bonnie Arnold; Produzione: Egoli Tossell Film Halle, Zephyr Films; Co-produzione: Andrei Konchalovsky Production Center, Samfilm; Origine: Germania, Russia 2009; Durata: 112’


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