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The queen’s gambit (Miniserie) - Teste di Serie

Pubblicato il 8 novembre 2020 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


The queen's gambit (Miniserie) - Teste di Serie

LA RIVINCITA DELLA REGINA

Diventare il migliore non è solo questione di talento: ci vuole una bella e duratura dose di fortuna, allenamento costante e intuito. Ma, anche se forniti di tutti questi “accessori”, a volte non è sufficiente…

E The queen’s gambit – tradotto grossolanamente in Italia con La regina degli scacchi, mandando così alla deriva l’esplicito richiamo scacchistico al gambetto di donna – ci mostra proprio l’indispensabile necessità di andare oltre o, per meglio dire, di cercare proprio vicino a noi, tra i nostri affetti, quella compagnia che sa di conforto, che si scrive sostegno e si legge condivisione; proprio come l’orfana geniale Beth Harmon (interpretata divinamente da Ana Taylor-Joy), che, nel mezzo del suo incessante peregrinare tra orfanotrofi, dipendenze e incontri fugaci e illusori, capisce come, se è vero che «si vive insieme e si muore da soli», la sopravvivenza è roba per chiunque, ma vivere una vita quanto più vicina alle proprie ambizioni, è mestiere arduo e davvero delicato.

Ma la miniserie ideata dall’ottimo Scott Frank – già all’opera con il pregevolissimo e caustico Godless e sceneggiatore di qualità -, tratta dal romanzo di Walter Tevis – l’autore dei testi da cui sono stati esportati Lo spaccone e Il colore dei soldi, per citarne un paio -, prima di deliziare l’anima con una storia di formazione dolceamara, incanta grazie a una messa in scena ponderata fin nei minimi dettagli, creando atmosfere conturbanti e ricercando un’espressività visiva perfettamente allineata con le emozioni dei personaggi – e non è cosa da poco.

Di pari passo con il lento incedere e la crescita della giovane Beth, la macchina da presa si affida alla potenza dei dettagli – gli scacchi -, assemblando magnifici campi/controcampi con primi piani serrati, quasi da western d’autore; le partite elevano il loro valore a forme d’espressione che traportano sulla scacchiera le introverse personalità dei protagonisti e, chiaramente su tutti, quella enigmatica, suadente e felina di una Beth/Ana Taylor-Joy mai così brava – già sorprendente in The VVitch di Robert Eggers e in Split di M. Night Shyamalan -, ora spedita, ci si augura, definitivamente in orbita, verso una carriera da diva. Frank sa come dirigerla, ritagliandole una parte da stella d’antan, vorace e potente nel bucare lo schermo, quanto elegante e fragile nella sua rappresentazione di bambina/giovane donna alla ricerca del suo posto nel mondo.
Ma The queen’s gambit funziona soprattutto nella sua stesura narrativa, lavorando soprattutto sulla suspense, sfruttando un metodico e progressivo processo di accumulo: dalle “origini del mito” nello scantinato dell’orfanotrofio – vitale la presenza del custode, il signor Shaibel, a cui presta corpo e sostanza un ingombrante e minimale Bill Camp -, passando per l’iniziazione dei primi tornei locali, fino all’affermazione di Harmon come gran maestro a livello mondiale. E il personaggio-magnete della rossa prodigio attira chiunque le capiti affianco, trascinandoli nel proprio spazio, per trasformarsi di volta in volta verso un status definitivo: quello dell’icona, della donna “compiuta” in una società maschilista e patriarcale, della creatura aliena arsa dal genio e da una buona dose di sregolatezza. E tutto, dalle partite di scacchi, agli incontri più o meno duraturi, rappresenta un passo dopo l’altro verso la scoperta, verso una crescita che termina con la consapevolezza di un’espansione, di una felicità e di un appagamento stimolati dalla condivisione e dall’altrui sostegno.

Frank ha ben chiaro ogni passaggio della storia che vuole raccontare e lo mette in scena senza giri a vuoto, evitando fiammate improvvise, ma calcolando alla perfezione ogni dinamica – in questo senso, spiccano la sfida tra Beth e Townes, in cui il movimento degli scacchi danno corpo alla curiosità e alle spinte emotive di entrambi, in un confronto tanto serrato, quanto intimo e ingenuo, e la conquista finale del titolo mondiale, giocata in un’atmosfera da velata spy-story, in cui l’essenza dell’opera di Frank emerge con passionale desiderio di mettere il primo piano l’importanza dei legami.

Sottile nella rappresentazione di una disciplina complessa, accurata nel descrivere l’evoluzione dei protagonisti e, di pari passo, dei comprimari tutto fuorché dozzinali, The quuen’s gambit è, senza ulteriori giri di parole, una delle più meritevoli e sorprendenti novità apparsa sul piccolo schermo in questo grigio e freddo 2020.


(The queen’s gambit); genere: drammatico; showrunner: Scott Frank; regia: Scott Frank; stagioni: 1 (miniserie); episodi miniserie: 7; interpreti principali: Anya Taylor-Joy, Bill Camp, Marielle Heller, Harry Melling, Thomas Brodie-Sangster, Moses Ingram, Jacob Fortune-Lloyd, Marcin Dorociński; produzione: Flitcraft Ltd, Wonderful Films; network: Netflix (23 ottobre 2020); origine: U.S.A., 2020; durata: 60’ per episodio; episodio cult: Episode 4 - Middle game (Episodio 4 - Mediogioco); Episode 7 - Endagame (Episodio 7 - Finale)


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