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The ring 2

Pubblicato il 4 aprile 2005 da Armando Chianese


The ring 2

Continua la crisi di idee originali nella opulenta Hollywood, e di questa sconfortante situazione ne fa le spese per primo il genere: da sempre serbatoio delle grandi majors per più ambiziosi progetti e per affari a lungo termine. L’8 Aprile è uscito nelle sale italiane il capitolo numero due dell’horror di origine giapponese The Ring, nell’assurdo ruolo di essere il sequel di un remake di successo. Si fa sentire ai produttori, però, il bisogno di poter in qualche modo pagare il debito di idee nei confronti degli originali asiatici, dando l’opportunità ai registi giapponesi di poter riproporre il loro film al grande pubblico occidentale con un cast tecnico migliore, con migliori strategie di marketing e promozione alle spalle. Ma facendo pagare a registi di ottima caratura, inevitabilmente, lo scotto di essere alle prese con una sorta di adattamento, misurandosi con non poche difficoltà soprattutto con le belle faccine di viziate attricette da telefilm, con grossi problemi di convivenza tra due diversi modi di intendere il cinema (la vita?) riversati nella sceneggiatura. Hideo Nakata l’apprezzato autore dei primi due capitoli asiatici della saga tratta dai romanzi di Suzuki Koji, dirige in America la nuova versione di The Ring 2, e sembra quasi di assistere quello che si verificò col The Grudge in stelle e strisce rifatto da Takashi Shimizu sotto l’egida di Sam Raimi. La situazione è analoga ma i risultati sono ben diversi, The Ring 2 infatti è un film riuscitissimo ed a tratti capace di essere inquietante più del tanto osannato primo capitolo diretto da Gore Verbinski. Un poderoso lavoro in fase di sceneggiatura a testimonianza del fatto che, reduci oramai da anni di apprendistato nei serial TV, gli autori americani sono straordinari nello sviluppare un soggetto ma incapaci di concepirlo dal nulla, ha dato l’opportunità a Nakata di esprimere al massimo il suo innato talento visivo. Il regista di Dark Water riesce in un operazione tutt’altro che facile, sentendosi perfettamente a suo agio e portando al parossismo momenti di pura tensione. Su tutti l’attacco dei cervi e la visita al manicomio sono momenti di grande cinema thriller. Inevitabile l’omaggio ai cult del terrore occidentali: la piccola Samara (Kelly Stables), spettro inquieto che dissemina il suo messaggio di morte attraverso una videocassetta maledetta, qui somiglia più che mai nei tratti e nei movimenti convulsi alla posseduta Regan de L’Esorcista, mentre l’ottima recitazione della brava Naomi Watts viene supportata da un David Dorfman sempre più convinto di essere sul set del nuovo Il Sesto Senso e da uno struggente cammeo della dolente Sissy Spacek. Anche se i rimandi a classici della possessione come Omen - Il Presagio sono molto più che subliminali, anche se i ruoli sinistri dell’acqua e della vasca da bagno sembrano un leitmotiv più vicino a Le Verità Nascoste che a Psycho e il perfido giochetto del mostro che non ti può nuocere solamente quando dormi pare una sorta di Nightmare al contrario, non c’è niente da ridire su questo sequel, non esenziale ma assolutamente convincente e per una volta valevole del prezzo del biglietto. Sembra proprio non esserci pace per la giornalista Rachel Keller e per il suo disturbato figlioletto Aidan, che in fuga dall’orrore che divelsero indagando della terribile storia della famiglia Morgan e della loro diabolica figlia adottiva, si ritrovano ancora alle prese con il nastro maledetto e con nuovi terribili omicidi collegati ad esso. Trasferitisi in una nuova città, i due saranno ancora alle prese con la terribile Samara che stavolta farà di tutto per impossessarsi del corpo del povero Aidan e ritornare “affamata” d’affetto materno dall’aldilà. A questo punto Rachel dovrà scandagliare nel passato alla ricerca della vera madre di Samara e cercare a tutti i costi di non far capire le sue ferme intenzioni allo spettro, attraverso la barriera del sonno, che i morti non possono oltrepassare. A un certo punto in The Ring 2 sembra incredibilmente entrare la cronaca nera, quella ahinoi vera, che ci tocca più da vicino e che porta tante giovani madri all’uccisione della propria prole. Qualsiasi paragone con celebri e recenti casi nostrani, passati al setaccio dai nostri media risulterebbe inutile quanto di cattivo gusto. Eppure c’è qualcosa di profondamente spirituale che ci coinvolge in questa pellicola, come se nel necessario sacrificio che a un certo punto viene chiesto a Rachel si celi la dolorosa verità di un retaggio ancestrale. Qualcosa di biblico alla Abramo e Isacco? Oppure, molto più probabilmente, qualcosa di profondamente lontano dalla nostra cultura. Qualcosa che sfiora soltanto le tesi psichiatriche e le dissertazioni psicologiche, ma che è vivo e pulsante, capace di dare allo spettatore un senso di forte disagio per tutta la seconda parte della pellicola.

[aprile 2005]

Regia: Hideo Nakata. Sceneggiatura: Ehren Kruger. Fotografia: Gabriel Beristain. Montaggio: Michael N. Knue. Musica: Hans Zimmer, Martin Tillman, Henning Lohner. Interpreti: Naomi Watts, David Dorfman, Sissy Spacek, Simon Baker. Produzione: Walter F. Parkes, Laurie MacDonald, Mark Sourian

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