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The Shadow Play - Panorama

Pubblicato il 11 febbraio 2019 da Matteo Galli

VOTO:

The Shadow Play - Panorama

Il regista cinese Lou Ye (1965) è un cineasta noto e premiato nei festival internazionali, dalla metà degli anni ’90 in avanti. Fra i suoi film più celebri si ricordano: Suzhou River (2000), visto al festival di Rotterdam; Love and Bruises (2011), presentato a Venezia, Blind Message (2014, Orso d’Argento per la Fotografia a Berlino). A Cannes Lou Ye è arrivato ben quattro volte, di cui tre in Concorso per Palma d’Oro con Purple Butterfly (2003), Summer Palace (2006) e Spring Fever (2009, premio per la miglior sceneggiatura); il quarto e fin qui ultimo film Mistery (2012) era invece passato nella sezione “Un certain Regard”. Quanto Lou Ye è celebre e conteso dai principali festival europei, tanto è scomodo in patria, dove a più riprese è stato sottoposto a limitazioni e divieti, quello dopo Summer Palace è stato il più lungo: cinque anni (anche se poi, con l’escamotage delle coproduzioni straniere, Lou Ye ha continuato comunque a girare film). E anche l’ultimo film, presentato a Berlino, per la sezione “Panorama” ha avuto le sue belle beghe con la censura. Concluso del 2016, sarebbe dovuto arrivare a Berlino l’anno scorso, ma non aveva ottenuto il visto per svariati motivi, alcuni legati ad argomenti scabrosi che hanno reso spesso Lou Ye persona non grata (crimine, sesso), altri invece legati in modo particolare a questo film che osa di fatto affrontare un argomento sgraditissimo alle gerarchie politiche cinesi, vale a dire le ricorrenti ondate di demolizioni ed espulsioni forzate di interi quartieri storici nelle città cinesi per far spazio a grattacieli, alberghi, centri commerciali e sportivi tramite opportuni accordi (in cui la corruzione la fa da padrona) con spregiudicati costruttori spesso che dispongono di capitali con sede nella vicina Hong Kong. Pare che il regista abbia operato delle correzioni e dei tagli (quali?), e il sospirato visto alla fine è arrivato. Il film è ambientato nella terza città più grande della Cina, a Guangzhou (che un tempo si chiamava Canton), proprio a due passi da Hong Kong. Proprio con le accese rivolte degli abitanti di Guangzhou e con la guerriglia urbana inizia il film, nel quale, dopo poche convulse scene, accade l’episodio clou intorno a cui ruota l’intera pellicola: la morte non accidentale di Tang Yijie, qualcosa di paragonabile a un dirigente/assessore ai lavori pubblici, che precipita da un tetto. A partire da qui si dipana un complicato (e pur alla fine inesorabile e lineare) intreccio di vicende, ricche di acronie e rinarrazioni, articolate su un lasso temporale di quasi vent’anni che vede coinvolti, oltre al morto, la moglie, la figlia, il costruttore/gangster e i suoi accoliti e, nel presente, soprattutto il detective Yang Jiadong pervicacemente intenzionato a venire a capo della morte dell’assessore, a dispetto dei numerosissimi ostacoli che gli vengono frapposti. Insomma un classico intreccio poliziesco, un thriller che Lou Ye gestisce alla grande con la complessità cronologica di cui si diceva, con un impressionante rigoglio di immagini, un ritmo frenetico, con una regia semplicemente scatenata che alterna un uso a volte strabiliante della camera a mano a un abbondantissimo uso di droni ed elicotteri per riprendere i numerosi scenari urbani. Senza entrare nei dettagli di un intreccio ricco di sorprese, basti dire che il crimine dal quale il film parte non è né il primo né, forse, il più grave. Il correlativo simbolico che aggiunge ulteriore qualità al film è la nebbia, di cui anche al titolo (ma in realtà stando ai sottotitoli inglesi il titolo è incastonato all’interno di una canzone eseguita da una delle protagoniste nella seconda metà del film) che incombe sui grattacieli e sul Fiume delle Perle su cui Guangzhou è adagiata a testimoniare che il processo di chiarificazione, di ricostruzione del vero è destinato, a dispetto dello scioglimento finale e della buona volontà del detective (anche a spese della propria incolumità), a restare sempre e comunque parziale. Si tratta dunque di un ottimo film di genere, capace altresì di gettare una luce sgradevole sulle aporie della legge nella Cina dell’ultimo ventennio.


CAST & CREDITS

(The Shadow Play); Regia: Lou Ye sceneggiatura: Ma Yingli, Mei Feng, Qiu Yujie ; fotografia: Jake Pollock; montaggio: Dieter Diependaele; interpreti: Jing Boran (Yang Jidong), Qin Hao (Jiang Zicheng), Sandra Ma (Xiao Ruo), Song Jia (Lin Hui), Michelle Chen (Ah Jun), Zhang Songwen (Tang Yijie); produzione: Minds Meet, Phanta Film, Shelter Prod; origine: Cina 2018; durata: 129’.


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