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Tierra en la lengua

Pubblicato il 25 giugno 2014 da Giovanna Branca

VOTO:

Tierra en la lengua

C’è tutto un filone della narrativa, letteraria come cinematografica, incentrata su personaggi negativi o all’apparenza tali che si redimono nell’obbligata interazione con l’altro, interazione che scopre le qualità nascoste di questi antieroi.
Gli esempi sono infiniti, e basterà pensare al torvo Clint Eastood di Gran Torino per avere un caso esemplare di questo percorso di espiazione delle proprie colpe ma ancor più di scoperta di un sé nascosto e del valore dell’Altro.
Tierra en la lengua del colombiano Rubén Mendoza ricalca in un certo senso questo percorso, che ha dei passaggi obbligati: in primis un’improvvisa ed obbligata vicinanza con qualcuno. Don Silvio, anziano ranchero donnaiolo e violento, convoca i suoi due nipoti presso la sua fattoria affinché pongano fine alle sue sofferenze (ha un tumore al pancreas) e si spartiscano la terra che lascia in eredità. In cambio promette loro di poter disporre delle ceneri dell’amata nonna, sua moglie, prima e principale vittima della sua violenza e delle sue intemperanze.
Sopravvissuto a due falliti rapimenti e ad uno riuscito da parte delle FARC, padre d una quantità innumerevole di figli illegittimi ed orgoglioso fino al punto di rifiutare cura palliative per il suo dolore, Don Silvio vuole andarsene come ha vissuto: violentemente e con quello che per lui è l’onore, cioè non accettare che possa essere lui stesso a togliersi la vita.
I nipoti sono classicamente divisi tra un astio nei confronti del nonno che ha radici lontane, ed un affetto per questo personaggio inspiegabilmente magnetico che la stessa nonna ha, nonostante tutto, ha amato fino alla fine. Il canto del cigno di Don Silvio si riflette e si replica nel paesaggio, nel territorio del ranch e nei suoi animali che cominciano a sfuggire al suo controllo come la sua stessa vita, o la cui dolorosa morte evoca quella imminente del protagonista.
A differenza di molte narrative simili, Tierra en la lengua sceglie una strada inusuale e coraggiosa che è il vero punto di forza del film: non c’è redenzione per Don Silvio, o meglio quella parte di pietas che gli spetta non muta nell’arco della storia, resta invariata dall’inizio alla fine. A differenza del prototipo dickensiano del personaggio che ottiene al perdono divino facendo ammenda dei propri peccati – di cui lo Scrooge di Canto di Natale è il più noto – ma a differenza anche di narrative più laiche in cui è comunque fortemente presente il senso di una colpa da espiare, Don Silvio va incontro alla morte per quello che è sempre stato, senza che la sua salvezza possa essere definitivamente stabilita. Resta allo spettatore la decisione ed il compito di perdonarlo per i suoi peccati.


CAST & CREDITS

(Tierra en la lengua) Regia: Rubén Mendoza; sceneggiatura: Rubén Mendoza; fotografia: Juan Carlos Gil; montaggio: Gustavo Vasco; interpreti: Jairo Salcedo, Gabriel Mejìa, Alma Rodrìguez; produzione: Dìa Fragma, Fàbrica de Pelìculas; origine: Colombia; durata: 89’.


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