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Today we ate the last cow

Pubblicato il 9 ottobre 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Today we ate the last cow

Le guerre sono dolorosamente tutte uguali quando ci si allontana dai campi di battaglia e si entra nelle stradine delle vita quotidiana di persone normali.
Parlano tutte la stessa lingua di sguardi impotenti e silenzi che urlano e si perdono tutte nel tragico ripetersi di sceneggiature in cui a cambiare sono solo i nomi di persone e luoghi.
Quale che sia la guerra di Today we ate the last cow ha poca importanza, in fondo, per lo spettatore. A contare sono, invece, i dettagli di piccola messa in scena. Il padre che prende un bicchierino di un distillato con la mano tremante di impotenza. La mamma che raschia al fondo il barattolo di carne in scatola (l’ultima mucca del titolo che pare non sia mai stata viva) per farne un pranzo che non sazierà nessuno. La bambina che si getta sui soldati che si portano via le ultime provviste incapace a capire il perché delle ingiustizie. I soldati stessi che in un paio di sguardi raccontano la difficoltà di abituarsi alla corazza di indifferenza che la guerra (o la fine del mondo, che, in fondo, è lo stesso) mette davanti agli occhi.
Forse siamo dalle parti di una guerra vicina nel passato (e la Croazia dalla quale viene il film è, in questo senso, una ferita ancora aperta sulla quale la memoria getta sale e aceto). Forse siamo alla fine di uno scenario post apocalittico, post atomico, post civiltà, post mondo. Ogni ipotesi è buona come un’altra perché tanto la logica dei rimedi estremi agli estremi mali resta la stessa. Non cambia mai, davvero.
Il corto comincia all’insegna di un mondo inaridito: uno spiazzo desertico, un copertone abbandonato al sole, arbusti morti e foglie secche che a metterle in bocca producono poco altro che un desiderio di sputare. Qui giocano un cane e una bambina: la prima con la voglia di scoprire, il secondo con le zanne che hanno rotto le gengive da troppo poco tempo. L’infanzia di tutti e due si consuma nel silenzio di un gioco che a stento strappa sorrisi, figurarsi poi risate.
Poi viene la pioggia che non lava via l’autunno senza inverno del nostro malcontento. Fitta, battente sta al pari del lucido da scarpe che non riporta a nuovo e a stento nasconde l’usura dei cuori.
Il mondo si chiude in tante piccole inquadrature di ordinaria disperazione. Già viste e per questo felicemente sintetiche. L’incedere piano di un racconto uguale a tutti gli altri eppure diverso non ammette dialoghi. Non una parola interrompe il libero fluire di una cronaca che avanza inesorabile verso un pasto che lascia in pancia solo una domanda: cosa mangeremo poi?
E il cane è la sola cosa viva che c’è intorno, nello scenario magro di alberi appassiti e orti sguarniti. La fine dell’infanzia sta tutta lì. Nel gesto che si consuma appena. Nel colpo di fucile che interrompe il silenzio: unica battuta di dialogo non proferibile da bocca umana.
Eppure il corto, riuscito al punto giusto, pulito nella progressione narrativa, nella scelta dell’epilogo ancor più dolente delle premesse, tecnicamente eccellente, rischia l’incaglio nelle sue stesse promesse. Cerca un po’ troppo la poesia col pericolo di mettere in posa anche lo squallore. Peccato per un’opera di sicura qualità!

Tweeting: Perfetto, forse troppo, ha anima, ma poca carne. Qualche rudezza in più ne avrebbe fatto un capolavoro.

Where to: Era nella selezione di Corti and cigarettes. Speriamo in prossime occasioni di visione.


(Danas smo pojeli zadnju kravu); Regia: Ana Perčinlić; sceneggiatura: Ana Perčinlić; fotografia: Robert Krivec; montaggio: Toni Škorić; interpreti: Marija Majcan, Jasna Bilušić, Davor Svedružić, Robert Hochberger, Bojan Radanović, Scar; produzione: Dario Juričan; origine: Croazia, 2011; durata: 8’


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