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Tony Manero

Pubblicato il 9 gennaio 2009 da Sila Berruti


Tony Manero

La recente storia del Sud America è un tema che ultimamente il cinema ama trattare spesso: basti pensare alla trilogia dei documentari di Ferdinando E. Solanas dedicata alle vicende e politiche e sociali dell’ Argentina o al film di Israel Adrian Caetano Cronaca di una fuga - Buenos Aires 1977. Ma se l’Argentina esce vittoriosa dai lavoro di Solanas, che ci descrive i suoi connazionali come gente combattiva e intelligente, quello che ci racconta Pablo Larraín è un popolo stanco e logoro ormai alla ricerca di se stesso e delle sue origini. Le storie dei generali, delle dittature e dei politici corrotti hanno logorato l’animo di popoli che siamo abituati a pensare, forse in maniera un po’ stereotipata, come allegri, spensierati e creativi. Cosa succede, dunque, quando la violenza è all’ordine del giorno, quando l’esercito gira nelle strade e le giornate sono scandite dagli orari del coprifuoco? Cose è successo a chi ha vissuto sotto la dittatura di Pinochet, chi ha accettato tutto questo senza avere il coraggio di ribellarsi ?
1978, Santiago del Cile, Raúl vive nell’ ossessione di Tony Manero, il protagonista del La febbre del sabato sera; per somigliare al suo idolo è disposto a fare di tutto: uccidere, tradire e abbandonare; appare come un uomo normale che tenta di sopravvivere nella miseria e nella disperazione: dirige un gruppo di ballerini che si esibiscono in un piccolo bar di periferia e, con lui, sognano il successo. La povertà è tangibile, ad ogni angolo, in ogni casa. Lo sfarzo è altrove. Nella sala cinematografica dove Raúl si rifugia o nei pochissimi schermi a colori delle televisioni. Il protagonista pare muoversi all’ interno della sua esistenza più che viverla, indifferente a tutto quello che gli accade intorno, insensibile alle urla di dolore e incapace di provare pietà, compassione o disgusto per le ingiustizie che vengono perpetuate dal regime: l’unico gesto che fa davanti al corpo di un uomo ucciso dalla polizia per aver distribuito materiale sovversivo è quello si strappargli la catenina con al croce d’oro, simile a quella che porta Tony Manero nel film. Girato con stile documentario: la macchina segue il protagonista, quasi fosse un reality show, nel corso di un avventura che lascerà lo spettatore stupito e sconvolto. Uno sguardo lucido su una società in declino che non ci invita non solo a riflette sul Cile di Pinochet, ma su tutto l’apparato di un mondo moderno, chiuso e arrivista che ci rende incapaci di sentire l’altro, di capirlo e di aiutarlo. Una critica forte ad un pianeta di ricchi sempre più ricchi e di poveri privati non solo del benessere economico ma completamente svuotati di qualunque cosa, dei valori universali di fratellanza e uguaglianza.


CAST & CREDITS

(Tony Manero); Regia: Pablo Larraín; soggetto, sceneggiatura: Pablo Larraín, Alfredo Castro, Mateo Irbarren; fotografia: Sergio Armstrong; montaggio: Andrea Chignoli; interpreti: Alfredo Castro (Raúl), Amparo Noguera (Cony), Paola Lattus (Pauli), Héctor Morales (Goyo), Elsa Poblete (Wilma); produttore: Juan de Dios Larraín; produzione:Fabula; distribuzione : Ripley’s Film; durata: 98’


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