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"Trilogia: il pensiero, lo sguardo, la parola" di Luciano Emmer

Pubblicato il 26 gennaio 2009 da Simone Isola


"Trilogia: il pensiero, lo sguardo, la parola" di Luciano Emmer

Nel panorama storico del cinema italiano, quella di Luciano Emmer è una delle figure più anomale e difficilmente catalogabili. Non solo autore, ma un pensatore raffinato, un intellettuale di grande sagacia e dall’umorismo tagliente, incline all’aforismo e alla battuta fulminante. Sin dalle sue commedie neorealiste del dopoguerra, la sua forte personalità artistica emerge con un’autorevolezza discreta, quasi sussurrata. Il miracolo economico, il consumismo, la sessualità e le mutazioni sull’istituzioni familiari: tutti temi affrontati con tocco leggero ma sicuro, neutralizzando il pathos a favore dell’ethos, da attento studioso del costume. Poi l’eccellente attività documentaristica e la svolta televisiva, con programmi di culto basati su idee semplici ma di grande modernità. Ricordiamo nel 1969 la sua prima serie di telefilm Rai, in onda sul secondo canale nei mesi di agosto/settembre: l’idea di Geminus nasce dall’osservazione dei numerosi mutamenti urbanistici che alla fine degli anni Sessanta coinvolgono il centro storico di Roma. Ogni episodio è infatti ambientato nel paesaggio sotterraneo della Capitale. L’intento è quello di coniugare spettacolo e intrattenimento con precisi riferimenti ai cambiamenti sociali e del territorio. E ancora lo storico Io e…, una serie di quattordici puntate messe in onda nel 1972 da Rai Uno nella quale alcuni personaggi illustri si ritrovano a commentare opere artistiche o architettoniche (ricordiamo l’episodio con Fellini che spiega il fascino del quartiere EUR). Emmer si volge al mezzo televisivo sia per motivi economici (“mi sono rotto di perdere mesi e anni per convincere degli imbecilli”) sia perché nel frammento, nella minor durata del mezzo televisivo l’autore trova quella libertà (almeno negli anni Sessanta e Settanta) che il cinema ormai gli nega. La sua voglia di documentare però non si arresta. Ed ecco, negli anni della “maturità”, una “perla” di rara bellezza; incaricato nel 1997 di girare un documentario sul restauro di Villa Borghese (Bella di notte), Emmer compie la geniale scelta stilistica di fingersi un visitatore notturno che, armato di una piccola torcia, si aggira tra le stanze del museo parlando e interloquendo con le preziose opere d’arte. Il risultato è straordinario.

Ora Emmer, all’età di 91 anni, affronta con Trilogia: il pensiero, lo sguardo, la parola, una sintesi più ampia, rischiosa. Presente nella sezione La Zona all’ultimo Torino Film Festival, il film è stato proiettato giovedì 20 gennaio a Roma presso la Sala Trevi, accompagnato da un incontro-dibattito tra il regista, alcuni critici e il pubblico presente in sala. Ciò che più colpisce sono l’assoluta lucidità e il rigore delle argomentazioni di Emmer, la curiosità per aspetti fondanti della cultura e delle arti dell’Occidente. Nonostante l’età avanzata non ha mai perso quel sottile senso dell’umorismo che lo contraddistingue e pur nell’oggettiva complessità di alcuni concetti o immagini presenti nel film, il dibattito è stato vivo, con momenti anche divertenti e leggeri. Trilogia è il tentativo concreto di affrontare il pensiero e la riflessione filosofica, non disgiunti dallo studio di elementi artistico, in un abbraccio sinuoso e seducente. Tre episodi dunque, che danno alla riflessione un respiro molto profondo e al tempo stesso semplice, quotidiano. La filosofia antica, le civiltà greca e romana: temi affrontati dall’anziano regista con umiltà e, passateci il termine, un’ingenuità artigianale che rende ogni immagine e parola sincere, autentiche, vive. La sua analisi, però, non è da studioso professionista, mantiene la freschezza e lo stupore dell’appassionato di fronte alla sapienza e alle riflessioni dei grandi pensatori. Ogni idea si rapporta alla vita e all’esperienza individuale dell’autore, e il saggio ne acquista in vigore espressivo. Schivo e misurato, Emmer espone quasi sottovoce, sussurrando; le sue riflessioni sembrano quotidiane anche quando riguardano temi essenziali della storia dell’uomo, le sue scoperte sono semplici e discrete. Con questo film l’autore decide di affrontare la retorica con umiltà, trattandola come materia concreta. E ancora, nel secondo episodio, il suo sguardo ritorna all’arte e alla pittura; uno sguardo che ha condizionato i lavori di Resnais, dei grandi documentaristi d’arte che da Emmer hanno appreso la totale libertà filmica, il coraggio di inquadrare l’opera d’arte come delle immagini di cinema. In Trilogia c’è l’intera "storia dello sguardo" nelle arti visive: dai graffiti preistorici alle pale medievali, dai dipinti impressionisti e cubisti ai manifesti pubblicitari dei giorni nostri. E nell’ultimo episodio l’autobiografismo diventa ancora più lampante; c’è l’autore nella sua casa di montagna, in un giorno di solitudine. La situazione spinge l’uomo a riflettere sui grandi pensatori, con quel senso di ironia, del “non prendere e prendersi troppo sul serio”, che rendono Emmer ancora oggi uno dei più originali documentaristi italiani. E l’entusiasmo degli addetti ai lavori (e non solo) sono il segno di una poetica profonda che forse solo oggi ci appare autorevole e compatta. D’altronde, quella torcia che si aggira all’interno di Villa Borghese è il simbolo più concreto del mestiere d’autore, dell’umanità e del calore di uno sguardo, di un faro che illumina e racconta l’arte non come materia immobile e distante, ma come elemenoi che influenza la nostra vita, la nostra stessa essenza di uomini. E fare emergere dall’oblio e dal buio l’arte (intesa come pensiero, come materia) dei nostri tempi è forse uno dei compiti più concreti che il cinema stesso può darsi.


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