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Una ballata bianca

Pubblicato il 8 dicembre 2007 da Gaetano Maiorino


Una ballata bianca

Lieve, intenso, difficile. Sono i primi tre aggettivi che si possono associare all’opera prima del regista italiano, ma “trapiantato” in Olanda, Stefano Odoardi. Il suo film Una ballata bianca, è una vera novità. Molte pellicole, soprattutto quelle autoprodotte e autodistribuite come questa, si definiscono da sole sperimentali, ma in fondo non sono che un confuso insieme di tecniche da videoclip, tv movies di scarsa qualità, brandelli di B-movies inseriti ad hoc per citazionismo o per mancanza di originalità.
Odoardi invece realizza davvero qualcosa di nuovo, di differente. Nessun film recente è riuscito, almeno nel panorama italiano, a compiere una riflessione tanto profonda sul senso dell’amore e sulla disperazione per la morte.

Una coppia di anziani di un paese della campagna abruzzese riflette sulla propria esistenza in attesa della imminente morte di lei. Entrambi all’apparenza ancora dediti alla routine quotidiana, in realtà meditano su tutti gli errori commessi, sulle gioie vissute, sui cocci rotti e i bicchieri di cristallo che la vita ha loro riservato. Intanto una giovane donna si aggira tra le macerie di un luogo non ben definito, che assurge a simbolo di una vita ormai sgretolata e allo stesso tempo diventa memoria ancora presente, sebbene frammentaria, degli anni trascorsi insieme dai due coniugi.
Un dramma profondo narrato in maniera per nulla eclatante, sommessa, timida; rischioso da raccontare come ogni film sulla vecchiaia, soprattutto, per la possibilità di una malinconica commiserazione e di una compassione lacrimosa. Eppure il regista riesce a non cadere nel patetismo, a rispettare il dolore dei suoi personaggi restando a margine della loro sofferenza, senza fare della morale, senza promuovere questa storia a simbolo di un dolore universale. Odoardi infatti non crea dei modelli, i suoi protagonisti non diventano archetipi di un discorso altro. Restano figure leggere e private, che si sfiorano senza toccarsi mai, che racchiudono i propri ricordi in barattoli di vetro come si fa quando si prepara una conserva, che occupano sempre spazi diversi nella loro piccola casa, senza scambiarsi una parola, ma pensando sempre l’uno all’altra. E sono proprio i pensieri i veri protagonisti: le voci off che per tutto il film li rivelano, in vece delle parole, forse appesantiscono la narrazione e rendono ostico affrontare la visione, ma in fondo sono lo strumento migliore che ha Odoardi per scavare nella mente dei due anziani. Il regista, senza che mai l’occhio della macchina da presa diventi invadente (si contano sulle dita di una mano i movimenti di macchina che è sempre quasi fissa, semplice osservatrice), tira fuori dagli sguardi dei due protagonisti, dalle loro movenze lente e claudicanti, dai loro imperturbabili silenzi, quell’emozione che tocca lo spettatore nel profondo.
Dopo un’ora trascorsa senza mai entrare in contatto, i due anziani capiscono che il tempo è giunto per il passo finale della loro ballata. Il cammino insieme riprende fino al momento del distacco, raccontato con pudore e con grande forza simbolica, col rispetto che si deve allo spegnersi di una fiamma e con la poesia che accompagna il ricordo di una vita perduta.


(Una ballata bianca) Regia: Stefano Odoardi; soggetto: Kees Roorda; sceneggiatura: Stefano Odoardi e Kees Roorda; fotografia: Tarek; montaggio: Tarek e Stefano Odoardi; musiche: Carlo Crivelli; scenografia: Stefano Odoardi; costumi: Franca de Martis; interpreti: Simona Senzaqua (Donna giovane), Carmela Lanci (Donna anziana), Nicola Lanci (Uomo anziano), Sergio Fiorentini (voce narrante); produzione: O film, Image Grabbing, Moskito Film, DE Productie; distribuzione: autodistribuito; origine: Italia/Olanda 2006; durata: 78’


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