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Una breve vacanza

Pubblicato il 16 dicembre 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Una breve vacanza

Che ci fosse un pizzico di Pirandello nei corti di Giovanni Meola era un dubbio che ci portavamo da ben prima dei tempi di Il Sospetto.
In quel corto era, infatti, protagonista un gioco delle parti, l’idea, quasi, di poter cambiare sostanza semplicemente indossando una maschera diversa da quella quotidiana.
Il tentativo disperato di un prete di nascondersi allo sguardo degli altri all’interno della sua stessa chiesa sanciva, infatti, l’impressione fortissima di un sentimento del contrario che è centrale all’idea di cinema di Meola. Tutti i suoi corti, in fondo, indicano questa direzione. Tutte le sue sceneggiature, raffinati incastri di impressioni, flirtano con l’idea della vecchietta imbellettata che è ridicola fino a che la comprensione del suo desiderio di restare giovane con la maschera del trucco ce la rende tristemente patetica.
Una breve vacanza, titolo deschiano per remota suggestione, riporta il discorso pirandelliano su una componente appena un poco diversa. C’è, infatti, a farla da padrona, il tema della malattia tanto caro al vecchio autore siciliano da diventare a suo modo proverbiale.
L’inizio del corto, col duetto tra l’avventore del bar ossessionato dal suo racconto e l’ignaro cameriere che si presta al gioco perché non può sottrarsi al suo ruolo, ha vaghe assonanze con il celeberrimo incipit di L’uomo dal fiore in bocca. L’idea della malattia che rode e corrode la nostra possibilità di essere al mondo, aprendo voragini di non senso sul nostro percorso dolente di maschere nude domina il racconto sin dalle prime inquadrature, nella sofferta fissità dello sguardo di Giulio Scarpati, sempre rivolto fuori campo e, al tempo stesso, sempre ambiguamente in basso, sotto la linea d’orizzonte, nel vuoto subdolo di un subconscio lacerato e contorto.
Il gioco delle parti prosegue ambiguo nel susseguirsi delle rievocazioni in flash-back della storia del protagonista che subito chiarisce come il male di cui sopra è della compagna, gelosa (troppo) dell’uomo che ha scelto. Una patologia della mente, quindi, che riporta il discorso su quella follia tanto cara all’autore di Enrico IV eppure tanto forte anche nel Meola regista di teatro.
E la follia prolunga le impressioni di questo trio di personaggi in un gioco di specchi in cui una parte può benissimo sostituire l’altra e in cui sotto la scorza delle maschere di ognuno si rivela un nocciolo duro di egoismo più o meno grande, più o meno spaventoso.
Nessuno si salva dalla visione fredda e sofferta di un meccanismo in cui vittime e carnefici si confondono nel paradosso. Non la compagna gelosa, tenuta a bada con pillole fatte ingoiare con minacce silenziose (vero e proprio McGuffin del corto). Né il cameriere, così dotato di buon senso, ma abbastanza uomo e maschio da concedersi la possibilità di sesso occasionale con una donna in evidente stato confusionale. Né, infine, il protagonista che tanto innocente non è, come nessuno del resto, quando sottoposto al vaglio impietoso del giudizio morale.
La peculiarità dello stile di Meola sta nel sottile meccanismo di incastri e di ribaltamenti di prospettiva insito nel suo modo di far cinema. Il suo sguardo è razionalista e preciso. Dei suoi corti la prima cosa che si apprezza è l’architettura che è funzionale e divide spazi e concetti come un settecentista ancora affamato di Barocco. Sicché non si tarda molto a scoprire che dietro le aeree campate del discorso si nascondono teorie di gradini e fughe verso il vuoto. Del razionalista l’autore conserva la propensione al ritratto esemplare che si fa ponte per uno sguardo morale. Ma Meola è troppo novecentesco per non sapere che la morale è relativa al punto di vista che di volta in volta si adotta ed è piuttosto l’elastico che ci tiene la maschera attaccata sulla faccia. E così i suoi corti, così precisi nella costruzione, si fanno scivolosi per gli occhi.
Una breve vacanza colpisce, ad ogni modo, oltre che per la conferma di uno sguardo originale soprattutto per la mobilità della macchina da presa, che avvolge i personaggi chiudendoli nelle loro personali ossessioni. Si perdona, quindi, qualche concessione teatrale nel gioco dei tre attori tutti bravi e tutti sapientemente in parte.

Tweeting: Un gioco di maschere dal sapore pirandelliano sulla malattia della gelosia.

Where to: Per ora passa al cinema, qui e lì nelle migliori sale di Napoli.


(Una breve vacanza); Regia: Giovanni Meola; sceneggiatura: Giovanni Meola; fotografia: Roberto Lucarelli; montaggio: Giovanni Meola; musica: Enrica Sciandrone; interpreti: Giulio Scarpati, Luigi Credendino, Martina Liberti; produzione: Virus Film; origine: Italia 2012; durata: 23’


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