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Una notte a Gotham City: Burton, Nolan e il cavaliere oscuro

Pubblicato il 1 agosto 2008 da Luca Lardieri


Una notte a Gotham City: Burton, Nolan e il cavaliere oscuro

Gotham City è tetra, oscura, dominata da altissime ciminiere maleodoranti ed inquietanti traffici illeciti. Ogni angolo è un’insidia, il teatro ideale per nascondere malefatte e (s)velare follie omicide. Il ricettacolo di tutta la feccia umana, l’insieme dei peggiori quartieri di tutte le metropoli esistenti. É la Gotham di Tim Burton, finta ma reale, posto fantasioso ma tangibile anche se (nella realtà) interamente ricostruito presso i Pinewood Studios di Londra. Su di essa riposa vigile un eterno manto oscuro, la notte. Notte che quasi sempre impedisce all’alba di giungere e quando lo consente, lo fa lasciando uno strato opaco di fumi e smog che non permettono ai raggi del sole di filtrare completamente e giungere come una liberazione sul volto di chi la abita, di chi ogni giorno è costretto a doversi guardare le spalle per poter portare a casa la pelle. Gotham è in mano all’anarchia, lasciata alla mercé di assassini e stupratori, ufficiali corrotti e capi malavitosi che grazie alla confusione generata dai “piccoli” e continui reati riescono a “nascondere” i propri immensi affari sporchi. Nolan invece ambienta la propria Gotham City a Chicago, utilizza un posto reale per crearne uno fantasioso. Mostra vicoli, edifici, palazzi alla luce del giorno per poi farli sprofondare nella notte più oscura ed insegnarci che alla fine nulla cambia. Il male, la delinquenza, la malavita in generale non hanno bisogno della notte per portare avanti i propri traffici, troveranno sempre un posto “dark” in cui proliferare anche quando i raggi del sole sono ben visibili. La loro ambiguità, il loro mostrarsi come gente perbene è ancor più pericoloso del buio perché rende tutto indecifrabile. Nulla è sicuro, non esistono certezze, bisogna continuamente diffidare di tutti e tutto. A pensarci bene un tratto distintivo dell’intero cinema di Nolan, che più volte ha giocato con l’ambiguità, l’incertezza, il ribaltamento dei ruoli, il mostrare l’ambivalenza della natura umana. Non esiste una divisione netta, il bianco ed il nero vanno a braccetto, non si è mai completamente buoni né mai completamente cattivi (basti pensare ai due protagonisti di The Prestige). La notte, il buio l’oscurità, invece, servono a Batman per nascondersi e diventare il terrore dei propri avversari, la figura minacciosa, il lato perverso della giustizia che piomba netta come una scure su chiunque si sia macchiato di una qualsiasi nefandezza. Celarsi dietro una maschera per strappare via i mille e più effimeri volti che indossa il male. Un personaggio machiavellico per il quale il fine giustifica i mezzi. Una natura questa che è insita all’interno del personaggio stesso di Batman sin da quando ha fatto la sua prima apparizione nel mondo della nona arte nel lontano 1939.

Eppure a ben vedere i due Batman di Burton e Nolan non sono proprio agli antipodi, ma si sfiorano, per lunghi tratti percorrono binari identici e quando decidono di separarsi lo fanno più per una questione di stile che non contenutistica. Naturalmente, tutto ciò, prendendo in esame le due opere di Burton e la seconda di Nolan, poiché Batman Begins invece aveva mostrato una scelta diversa, mettendo continuamente in luce la figura di Batman (all’epoca non ancora cavaliere oscuro). Scelta, questa, estremamente condivisibile, visto che in quel caso si volevano principalmente evidenziare le origini dell’eroe pipistrello, la sua nascita effettiva ancor più che le sue gesta di giustiziere mascherato. In The Dark Knight invece, Nolan regala un palcoscenico molto più vasto a tutti i personaggi di “contorno”, dando le chiavi della città in mano al Joker e, forse, quelle del protagonista ad Harvey Dent, vero motore di tutte le vicende di Gotham ed elemento dalla complessità ed ambiguità estrema. Batman vive quasi di luce riflessa, diventa indispensabile per la presenza dei suoi antagonisti e quasi come in una seduta psicanalitica (cardine principale di tutti i fumetti sui supereroi) comincia a chiedersi se in realtà non sia lui la causa principale di tutto ciò che sta accadendo alla propria metropoli. Se non sia lui “l’estremo bene” che ha generato “l’estremo male”. Come è noto gli estremi si toccano e forse tra loro realmente non c’è differenza (tant’è vero che alla fine del film l’eroe preferirà passare per colpevole e da predatore divenire preda). Scelte che in maniera differente, aveva già percorso Tim Burton, il quale soprattutto in Batman – Returns aveva deciso di mischiare le carte e mostrare i tre uomini-animali (Bat-man, Cat-woman e Penguin) come delle vittime della società che vivevano in un equilibrio/squilibrio labile (Batman era nato dall’assassinio dei genitori del piccolo Bruce, Catwoman dalla perfidia del capo della timida segretaria Selina Kyle e Penguin dalla crudeltà dei propri genitori).

Il Joker invece nasce a causa di Batman stesso, ma mentre in Burton ciò avviene in seguito ad una causa oggettiva (l’eroe spinge Jack Napier all’interno di una vasca piena d’acido), Nolan fa un discorso vicino a quello di Shyamalan in Unbreakable (e di gran parte della filosofia della nona arte), affermando che il Joker nasce dalla semplice esistenza di Batman, ovvero la nemesi che riporta tutto ad un equilibrio, in una sorta di fanta-catena alimentare. A proposito dei due personaggi e della loro differenza di presenza all’interno della propria pellicola Burton dice:«C’è una differenza costituzionale tra i personaggi di Batman e del Joker: il Joker é estroverso e Batman è introverso. A questo non c’è rimedio, non potrai mai tenerli su uno stesso piano di energia. C’è un personaggio che vuole rimanere nell’ombra, nascosto [...] e questo contrasto fa parte dell’energia intera del film [...] giusto o sbagliato che fosse è come se li avessi lasciati liberi di fare il loro gioco». Affermazione, questa che potrebbe essere tranquillamente traslata sulla bocca di Nolan.

La differenza sostanziale tra i Batman di Nolan e Burton è che il primo cerca di portare la fantasia all’interno della realtà per poter spiegare meglio la realtà stessa (la razionale lucidità con cui presenta l’utilizzo di ogni oggetto ultratecnologico, l’ambientazione all’interno di una città realmente esistente, la messa in scena di sequenze estremamente realistiche) mentre il secondo elimina totalmente la realtà e crea continuamente (attraverso inquadrature sghembe, inserti in stop-motion e maschere improbabili) universi fantastici attraverso i quali parlare della realtà oggettiva. Il procedimento e lo stile sono diversi ma il risultato è il medesimo. Inoltre in più di una scena Nolan dimostra di aver visto ed apprezzato l’opera di Burton, citando ad esempio (anche se in maniera più “sobriamente psicopatica”) l’incontro tra il Joker e la donna amata da Bruce Wayne. Nel film del regista di Burbank, Nicholson incontra Basinger nel Museo di Gotham, mettendo tutto a soqquadro e cercando di sfregiare la donna con l’acido del suo fiore all’occhiello; in quello di Nolan, Heath Ledger crea scompiglio al party organizzato da Wayne in onore di Dent cercando di sfigurare con il proprio coltello, il viso di Maggie Gyllenhaal.

I due Joker sono il rovescio della stessa medaglia, sono due scelte diametralmente opposte ma allo stesso tempo sono uguali: due pazzi, anarchici in cerca di affermazione. Il Joker di Nicholson si muove per una mancanza (come tutti i personaggi di Burton), vuole ricreare Gotham a sua immagine e somiglianza cercando di ritrovare una “normalità” ed una serenità smarrita a causa del volto sfigurato (la finta risata che alla fine del film si scopre essere emessa da un piccolo registratorino è sinonimo di una grossa sofferenza interna). Quello di Heath Ledger, invece, è un maniaco terrorista (non sappiamo e non ci viene volutamente svelato il vero motivo delle sue azioni), il quale cerca di gettare la città nel caos più completo. È l’anarchia incarnatasi per distruggere ogni regola e uccidere tutti fuorché Batman. L’uomo pipistrello infatti è colui da seviziare e far soffrire ma non da eliminare, in quanto senza la sua presenza verrebbe a mancare la necessità del ruolo di un antagonista speculare. Non sarebbe più giustificata la pittura sul volto a coprire le cicatrici, Gotham (e di conseguenza gli spettatori) non intuirebbero più la necessità della sua presenza. Tra i meriti principali di Nolan c’è proprio quello di rendere indispensabile la presenza di uomini improbabilmente mascherati. L’incalzante inizio alla Point Break, l’intensità dei dialoghi e lo stile da action/noir rendono questo suo secondo capitolo sul cupo eroe della DC Comics un film estremamente interessante e ricco di spunti che vanno oltre il protagonista degli albi a fumetti. Un film che ha trovato la propria strada e che in un certo senso non ha cancellato l’opera di Burton, donandole nuova luce e arricchendo l’universo di Gotham di una splendente perla oscura che un giorno tornerà (quasi sicuramente) a far brillare ancora e ancora.


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