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Une vie meilleure

Pubblicato il 29 ottobre 2011 da Nicola Lazzerotti


Une vie meilleure

Una vita migliore, un desiderio legittimo quanto semplice e immediato che alberga nell’animo di tutti. La ricerca della felicità e di una sicurezza economica, di un salto di qualità contrapposto però al baratro che la vita impone a chi si “permette” di desiderarlo. Cédric Kahn esplora questo desiderio e lo contestualizza nella realtà di oggi, in un film non certo nuovo nelle tematiche, per certi versi simili a tanti film di Loach e di Zavattini, ma concreto, che impone allo spettatore il suo punto di vista forte e indiscutibile. A fare le differenza una regia perfetta, una camera a mano perennemente instabile, che indugia sempre sui primi piani dei protagonisti, schiacciati dalla bidimensionalità dell’immagine e racchiusi, quasi intrappolati, nel quadro visivo della stessa. Metafora, neanche troppo criptica, della condizione umana dei personaggi, soverchiati da una vita che non concede nulla, ma che anzi toglie e nega ogni gioia. Non c’è alcuna velleità stilistica in questa rappresentazione, nessuna ricerca di “buon stile”, nessun look da film Indie. Il tutto è finalizzato e costruito, accuratamente aggiungiamo noi, per colpire lo spettatore e presentargli quell’universo freddo, indifferente e distopico che è la nostra società.
Forti e mai scontati i simbolismi, che sono di tutto questo il manifesto più esplicito: Il protagonista con il bambino sulle spalle che cammina sulla spiaggia, può sembrare un’immagine “facile” o quantomeno scontata, ma dimostra invece il coraggio e la consapevolezza dell’autore nel rischiare quel passo in più, che risulta decisivo nel complesso risultato dell’opera. A questo si aggiunge una scrittura, in parte dello stesso autore, che limita all’essenziale la comunicazione verbale in favore della messa in scena e dell’espressione fisica delle azioni e dei sentimenti. Una riappropriazione “animale” del vivere, un grado zero della comunicazione che è solo azione. Esplicativa in tal senso la scena del bacio tra i due protagonisti all’inizio del film, un bacio preso e voluto con forza, manifesto di un desiderio di vita che non vuole accettare regole o formalismi. O ancora i primi piani dei protagonisti, più eloquenti di qualsiasi battuta, che sanno trasmettere allo spettatore ogni emozione ed ogni sfumatura di essa.
Curata la recitazione, mai una sbavatura o una scena sopra le righe. I tre attori regalano una performance adeguata e attenta, che sa realizzare una alchemica complicità tra i caratteri dei personaggi. Su tutti Guillaume Canet, che comprende e sviluppa la complessità di questo protagonista dickensiano, dandogli profondità nelle sue molteplici sfaccettature. Il merito di questa efficacia è da condividere con il regista, che sa dirigere i tre con una doverosa e rispettosa consapevolezza verso la natura dei loro personaggi.
Une vie meilleure è un film che ha più nella sua fattura che nella sua “essenza” il suo punto di forza, evitando la comunicazione per una esplicita ed essenziale trasmissione dell’emozione. La fuga nell’ultima parte del film da inizio di una nuova vita e il finale liberatorio nelle sconfinate lande ghiacciate (ripreso in un campo totale, l’unico del film) non ha alcun senso di pacificazione, ma è solo un punto per ripartire, una pausa di gioia per riprendere fiato e affrontare una vita a venire nuovamente incerta.


CAST & CREDITS

(Une vie meilleure); Regia: Cédric Kahn; sceneggiatura: Cédric Kahn, Catherine Paillé; fotografia: Pascal Marti; montaggio: Simon Jacquet; musica: Akido; interpreti: Guillaume Canet (Yann), Leïla Bekhti (Nadia), Slimane Khettabi (Il figlio); produzione: Les Films du Lendemain; distribuzione internazionale: Wild Bunch; origine: Francia, 2011; durata: 112’


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